Voci da mondi diversi. Asia
il libro ritrovato
Amitav Ghosh, “Mare di papaveri”
Ed. Neri Pozza, trad. Anna
Nadotti e Norman Godetti, pagg. 538, Euro 18,50
Accadde
alla fine dell’inverno, in un anno in cui i papaveri furono stranamente lenti
nello spargere i petali: per chilometri e chilometri, da Benares in su,
sembrava che il Gange scorresse tra ghiacciai paralleli, entrambe le sponde
erano coperte da una folta distesa di petali bianchi.
E’ forse questa la prima sorpresa
che ci riserva il nuovo grandioso romanzo dello scrittore indiano Amitav Ghosh,
“Mare di papaveri”- la descrizione di una distesa di papaveri da oppio- non
rossi come i nostri, che si mescolano all’oro delle spighe, ma bianchi. E, in
qualche modo, durante la narrazione, saremo colpiti da questo contrasto: il
mare bianco dei papaveri e quello che gli indiani chiamano il Mare Nero, così
smisurato e irto di pericoli. Come un ingresso su un mondo sconosciuto. Si
lasciano alle spalle il mare di papaveri per avventurarsi su quell’altro mare a
bordo della Ibis, i ‘migranti’ che
sono i protagonisti del romanzo corale di Amitav Ghosh, il primo di una
trilogia che conterrà, nel suo insieme, la storia della nascita dell’India
moderna.
Una miriade di personaggi, ognuno con la
sua storia, a comporre un vasto affresco. Da un certo punto del libro in poi si
troveranno tutti sulla Ibis, un tempo
era una nave negriera, ora è cambiata la parola con cui la merce umana viene
definita, ma il significato- che contiene il loro destino- è uguale. Ma prima,
prima di farli salire a bordo, Ghosh li fa apparire ad uno ad uno sul
palcoscenico del romanzo, a giustificare la partenza verso l’ignoto. C’è la
donna che è stata data in sposa ad un oppiomane e sarebbe dovuta bruciare sulla
pira funebre di lui se non fosse stata salvata dall’uomo gigantesco che la aiuta
a fuggire; c’è il raja che è stato ingannato e che, perdendo tutti i suoi
averi, è condannato per truffa; c’è l’altro prigioniero che è per metà cinese e
che è pronto a vendere il compagno di cella per una pallina di oppio; lo
stravagante responsabile degli uomini di bordo che crede di reincarnare la
donna che ha amato- a tal punto da trasformarsi fisicamente in lei; la giovane
francese camuffata da vecchia, che fugge da un matrimonio non voluto; il figlio
di una schiava liberata del Maryland, un ‘nero bianco’…e altri ancora,
affascinante quadro di un’umanità dai diversi colori di pelle, dalle mille
lingue di Babele, dai molti credi e usanze differenti. E poi ci sono i padroni,
gli inglesi rappresentati da Mr. Chillingworth, i lupi con le vesti di agnello,
pronti a dichiarare la guerra alla Cina pur di non perdere il mercato
dell’oppio: la libertà dei cinesi di consumare oppio deve pur essere tutelata.
Romanzo storico, romanzo d’avventura (c’è
anche un ammutinamento a bordo dell’Ibis),
romanzo folcloristico ricco di dettagli, voci, profumi e colori, romanzo
d’amore che a volte, in maniera superbamente colta e ironica, sembra
motteggiare i romanzi d’amore ottocenteschi. E infine, o forse prima di tutto,
“Mare di papaveri” è un romanzo che è un tremendo atto d’accusa che dal passato
getta luce sul presente- c’è una scena terribilmente orrenda, più vicina al
cuore di tenebra conradiano che all’inferno dantesco perché non c’è nessuna
colpa da espiare per i poveracci che girano in tondo calpestando i semi dell’oppio,
spettri con gli occhi persi in un vuoto istupidito.
Di tanto in tanto si sente dire, ‘il
romanzo è morto’. “Mare di papaveri” è la prova che non è vero, che per la
fortuna dei lettori ci sono dei grandi scrittori che sanno tenerlo in vita.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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