martedì 7 ottobre 2014

Amitav Ghosh, "Mare di papaveri" ed. 2008

                                                             Voci da mondi diversi. Asia
            il libro ritrovato



Amitav Ghosh, “Mare di papaveri”
Ed. Neri Pozza, trad. Anna Nadotti e Norman Godetti, pagg. 538, Euro 18,50


    Accadde alla fine dell’inverno, in un anno in cui i papaveri furono stranamente lenti nello spargere i petali: per chilometri e chilometri, da Benares in su, sembrava che il Gange scorresse tra ghiacciai paralleli, entrambe le sponde erano coperte da una folta distesa di petali bianchi.
E’ forse questa la prima sorpresa che ci riserva il nuovo grandioso romanzo dello scrittore indiano Amitav Ghosh, “Mare di papaveri”- la descrizione di una distesa di papaveri da oppio- non rossi come i nostri, che si mescolano all’oro delle spighe, ma bianchi. E, in qualche modo, durante la narrazione, saremo colpiti da questo contrasto: il mare bianco dei papaveri e quello che gli indiani chiamano il Mare Nero, così smisurato e irto di pericoli. Come un ingresso su un mondo sconosciuto. Si lasciano alle spalle il mare di papaveri per avventurarsi su quell’altro mare a bordo della Ibis, i ‘migranti’ che sono i protagonisti del romanzo corale di Amitav Ghosh, il primo di una trilogia che conterrà, nel suo insieme, la storia della nascita dell’India moderna.


    Una miriade di personaggi, ognuno con la sua storia, a comporre un vasto affresco. Da un certo punto del libro in poi si troveranno tutti sulla Ibis, un tempo era una nave negriera, ora è cambiata la parola con cui la merce umana viene definita, ma il significato- che contiene il loro destino- è uguale. Ma prima, prima di farli salire a bordo, Ghosh li fa apparire ad uno ad uno sul palcoscenico del romanzo, a giustificare la partenza verso l’ignoto. C’è la donna che è stata data in sposa ad un oppiomane e sarebbe dovuta bruciare sulla pira funebre di lui se non fosse stata salvata dall’uomo gigantesco che la aiuta a fuggire; c’è il raja che è stato ingannato e che, perdendo tutti i suoi averi, è condannato per truffa; c’è l’altro prigioniero che è per metà cinese e che è pronto a vendere il compagno di cella per una pallina di oppio; lo stravagante responsabile degli uomini di bordo che crede di reincarnare la donna che ha amato- a tal punto da trasformarsi fisicamente in lei; la giovane francese camuffata da vecchia, che fugge da un matrimonio non voluto; il figlio di una schiava liberata del Maryland, un ‘nero bianco’…e altri ancora, affascinante quadro di un’umanità dai diversi colori di pelle, dalle mille lingue di Babele, dai molti credi e usanze differenti. E poi ci sono i padroni, gli inglesi rappresentati da Mr. Chillingworth, i lupi con le vesti di agnello, pronti a dichiarare la guerra alla Cina pur di non perdere il mercato dell’oppio: la libertà dei cinesi di consumare oppio deve pur essere tutelata.
     Romanzo storico, romanzo d’avventura (c’è anche un ammutinamento a bordo dell’Ibis), romanzo folcloristico ricco di dettagli, voci, profumi e colori, romanzo d’amore che a volte, in maniera superbamente colta e ironica, sembra motteggiare i romanzi d’amore ottocenteschi. E infine, o forse prima di tutto, “Mare di papaveri” è un romanzo che è un tremendo atto d’accusa che dal passato getta luce sul presente- c’è una scena terribilmente orrenda, più vicina al cuore di tenebra conradiano che all’inferno dantesco perché non c’è nessuna colpa da espiare per i poveracci che girano in tondo calpestando i semi dell’oppio, spettri con gli occhi persi in un vuoto istupidito.

    Di tanto in tanto si sente dire, ‘il romanzo è morto’. “Mare di papaveri” è la prova che non è vero, che per la fortuna dei lettori ci sono dei grandi scrittori che sanno tenerlo in vita.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


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