ricorrenze
fresco di lettura
Tanis Rideout, “Ti scriverò dai confini del cielo”
Ed. Piemme, trad. A. Rusconi,
pagg, 417, Euro 15,72
Titolo originale: Above All Things
Perché. Ecco che cosa volevano sapere tutti. O almeno quanti non erano mai
stati su una montagna in vita loro. Ma lui non era mai riuscito a spiegarlo
bene. Che poi, cosa c’era da spiegare? Era l’estetica della scalata, l’attrazione
irresistibile di ciò che sta oltre l’orizzonte tanto vicino. Il puro piacere di
aprire una via, di superare una parete, di far fare al proprio corpo
esattamente quello che serviva nel momento in cui serviva. Ma era anche altro. Il
senso di dominio che si provava in vetta. La supremazia.
I cinesi lo chiamano Qomolangma, i nepalesi
Sagaramatha: ‘madre dell’universo’ per i primi, ‘dio del cielo’ per i secondi.
Perché il Monte Everest (per noi deve il nome a Sir George Everest che per anni
fu responsabile dei geografi britannici in India), la cima più alta del mondo
con i suoi 8848 metri, ha qualcosa di ultraterreno nella sua imponenza, nella
sua imperturbabilità rocciosa che sembra voler tenere gli uomini a distanza.
Non per nulla le leggende locali parlano di demoni che difendono la montagna,
che impediscono a chiunque di avvicinarsi troppo- forse c’è perfino qualcosa di
vero, forse i demoni esistono e sono le allucinazioni dovute alla mancanza di
ossigenazione ad alta quota: è il fantastico che spiega la realtà.
L’8 giugno 1924 George Mallory moriva, nel terzo tentativo di
raggiungere la vetta- il novantesimo anniversario della fine della sua impresa
ricorre a giorni. Mallory aveva quasi 38 anni, a casa, in Inghilterra, lo
attendeva la moglie Ruth e i loro tre bambini. Insieme a Mallory moriva anche
Sandy Irvine, di appena 22 anni. Il primo maggio 1999 il corpo di Mallory è
stato ritrovato, è del 2010 la notizia che forse è stato avvistato quello di
Irvine. Resta aperto l’interrogativo se George Mallory abbia raggiunto o no la
vetta, se abbia preceduto il neozelandese Edmund Hillary che conquistò
l’Everest nel 1953 insieme allo sherpa Tenzing Norgay. Il libro- veramente
molto bello- della canadese Tanis Rideout, “Ti scriverò dai confini del cielo”,
ricostruisce i mesi della terza
spedizione di George Mallory basandosi su una ricerca accurata e sullo scambio
di lettere tra George e Ruth. Perché qui è la bellezza del libro, la
compiutezza con cui Tanis Rideout rende vivi i due protagonisti: le narrative
sono due, in un perfetto equilibrio di maschile e femminile, di yin e di yang,
e tendono a due mete lontanissime in ogni senso tra di loro, la vetta
dell’Everest e la cena in casa di Ruth.
George e Ruth |
I
titoli dei capitoli dell’entusiasmante impresa sono le tappe dell’ascesa,
l’altezza raggiunta (incominciamo a rabbrividire dai 5000 in poi, il nostro
Monte Bianco è alto 4810 metri) e il numero che contrassegna i campi di sosta.
I capitoli della giornata di Ruth sono invece marcati dalle ore, ad
iniziare dall’alba, fino a sera. I mesi e i giorni di George, lenti a passare
come sono lenti i passi negli scarponi chiodati quando l’aria si fa vieppiù
rarefatta, e le lente ore che colano nell’unico giorno di Ruth che- noi lo
sappiamo, lei no- è anche l’ultimo di vita di George. Le difficoltà della
spedizione, i dettagli sull’attrezzatura (incredibile, come si potesse anche
solo pensare di resistere a quelle temperature, con abiti, scarpe, guanti e
copricapo che oggi ci paiono ridicoli), il carattere dei partecipanti, i
ricordi che ci aiutano a conoscere George (l’amore a prima vista per Ruth, i
bambini, una storia passeggera a New York) e il giovane Sandy (sua madre si era
opposta alla sua partenza, lui aveva un’amante), le discussioni se si possano
usare le bombole di ossigeno o se sia contro lo spirito ‘sportivo’. La giornata
di Ruth ci fa pensare a quella di Mrs. Dalloway ed è un richiamo magistrale,
perché il Bloomsbury Group, con Virginia Woolf e la sorella, con James e Lytton
Strachey, entra nella narrazione, fa parte del passato di George Mallory. I
problemi quotidiani che una donna deve affrontare- le domestiche, la casa, la
cena, i bambini e le loro lezioni di francese- a fianco delle mete ambiziose
degli uomini. Gli uomini possono partire e scalare l’Everest perché le donne
sono lì ad aspettarli e a coltivare il loro ricordo nei figli (penso ad un altro
bel libro, “La moglie dell’aviatore”, di Melanie Benjamin, che è la storia d'amore di
un grande uomo e della donna coraggiosa vicino a lui).
Mallory è il secondo da sinistra e Irvine il primo, sempre da sinistra |
La tensione nel libro è fortissima. Conosciamo già la fine, eppure
speriamo che succeda qualcosa (in un romanzo può succedere di tutto, no?) che
però sappiamo non succederà. E la presenza della morte è in tutte le pagine del
libro- nei flash back della guerra che è, forse, uno dei motivi a spingere
George alla conquista, nella valanga che ha ucciso sette portatori nella spedizione
del 1922, nell’annegamento del piccolo portatore sordo, nello sherpa che muore
sotto gli occhi di un inorridito e impotente Sandy Irvine. Intanto a Cambridge
Ruth compera i fiori e la stoffa per una camicina per la figlia maggiore, cerca
di non farsi divorare dall’ansia, di accettare di essere solo una parte della
vita del marito, scacciando l’oscura premonizione che le rallenta il cuore,
come se anche a lei mancasse l’ossigeno.
Un libro da leggere, per chi ama la montagna, per chi è pronto all’avventura,
per quelli a cui piacciono anche le storie d’amore, per chi vuole un romanzo
‘pulito’, come le nevi dell’Everest.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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