il libro ritrovato
Maggie O’Farrell, “La mano che teneva la mia”
Ed. Guanda, trad.
Valeria Bastia, pagg. 379, Euro 18,50
Titolo originale: The Hand That First Held Mine
Innes
la portò in un negozio a Chelsea e le comprò un soprabito scarlatto con immensi
bottoni di tessuto, un vestito in crêpe di lana verde con le ruche ai polsi, un paio di calze
blu pavone- “Adesso sei un’intellettualoide, e devi cominciare a vestirti come
tale”-, un maglione con il collo a cappuccio. La portò dal parrucchiere e
rimase in piedi accanto a lei tutto il tempo. “Così” ordinò, passandole un dito
lungo la mascella, “e così.”
Quando i genitori
di Lexie seppero che conviveva con un uomo, le dissero che per loro era morta e
che non avrebbe dovuto contattarli mai più. E così fece.
Due storie che scorrono parallelamente
anche se in tempi diversi e che- in apparenza- non hanno nulla a che fare l’una
con l’altra. Non avranno nulla in comune per due terzi del romanzo “La mano che
teneva la mia”, di Maggie O’Farrell, fino a quando abbiamo qualche lieve
indizio che non è così, che hanno tutto
a che fare l’una con l’altra, che una è il presupposto dell’altra.
Entrambe le storie sono ambientate a
Londra, la prima verso la metà degli anni ‘50 e la seconda in un imprecisato
tempo contemporaneo, e hanno due protagoniste indimenticabili, due donne
‘straniere’ nella capitale- Alexandra Sinclair perché in fuga da una famiglia
che la soffoca e da un villaggio tra il Devon e la Cornovaglia, ed Elina perché
è finlandese e ha girato mezzo mondo prima di conoscere Ted, da cui ha appena
avuto un bambino.
La storia di Alexandra incomincia con
l’incontro casuale con Innes Kent, collezionista di opere d’arte ed editore di
una rivista, quando l’automobile di lui ha un guasto nel luogo sperduto dove
vive Alexandra. La quale è appena stata espulsa dall’università e ha già deciso
di andare a Londra. I due si incontreranno di nuovo a Londra, dunque: per Innes
è stato un colpo di fulmine e non ci vuole molto ad Alexandra (da ora in poi si
chiamerà Lexie, perché Innes pensa che le si addica) per ricambiare. Lui è
affascinante e le fa da Pigmalione. Lei è vivace, brillante, spregiudicata- non
le importa se Innes ha una moglie da cui non riesce a divorziare e una figlia
che non può essere la sua. Insieme frequentano i locali di Soho, conoscono
tutte le personalità più in vista del mondo della cultura di quegli anni
effervescenti del paese in cui sono ancora visibili le cicatrici della guerra.
Anche quella di Elina e Ted è una storia
d’amore- se solo riuscissero a ricordarsi chi erano, prima che nascesse il
bambino. Un parto traumatico che ha quasi ucciso Elina che ora si aggira per la
casa con quel fagottino esigente tra le braccia, del tutto dipendente dai suoi
pianti e dalle sue richieste affamate. Ci vuole una donna per scrivere così
bene del cambiamento che l’arrivo di un bambino porta nella vita di una coppia
e soprattutto in quella della madre, quando si cessa di esistere per se stesse
e si sviluppa un istinto che non si sapeva di avere fino a quel momento- quello
di percepire, al di là di ogni consapevolezza razionale, le necessità
dell’essere che dipende in tutto e per tutto proprio dall’intuizione materna.
In entrambe le storie la penna di Maggie
O’Farrell non si limita ad indugiare sui personaggi femminili, come si sarebbe
tentati di pensare. Anche l’esuberante Innes e il sensibile Ted, sconcertato
dalla rivoluzione che il bambino ha portato in casa, balzano fuori a tutto
tondo dalle pagine del romanzo. Così come pure i due bambini- perché ce n’è uno
in ogni storia: il piccolo Theo che accompagna ovunque Lexie, diventata nota
giornalista, e Jonah, di cui impariamo a riconoscere la minaccia di urla in
ogni smorfia. Perché la chiave delle due vicende è proprio nei bambini, nella
memoria inconscia che l’arrivo di Jonah risveglia in Ted. E allora quell’unica
parola che differenzia il titolo originale da quello italiano, The hand that first held mine, spiega tutto, illuminando di tenerezza i
ricordi del bambino di un tempo.
Il romanzo di Maggie O’Farrell è uno di
quelli di cui non si riesce ad interrompere la lettura. Non tanto perché ci
incuriosisce scoprire il legame tra le due storie, quanto perché ci piacciono i
personaggi, ci piace l’ambiente in cui si muovono. Lexie, Innes, Elina, Ted: è
come se li avessimo appena conosciuti e volessimo passare più tempo con loro
per sapere che cosa pensano, che cosa gli accade e, poiché vivono in tempi
diversi, come cambia la città intorno a loro.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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