il libro ritrovato
Irène Némirovsky, “Jezabel”
Ed. Adelphi, trad. Laura Frausin
Guarino, pagg. 194, Euro 16,50
C’è sempre qualcosa di rapace nelle donne
dei romanzi brevi di Irène Némirovsky, la scrittrice ebrea francese riscoperta
di recente. C’è un’avidità di denaro o di vita o di successo mondano. Così era
per la madre ne “Il ballo”, o per la figlia di David Golder nel romanzo con
questo titolo. Così è per Gladys Eysenach, la protagonista di “Jezabel”. Ed il titolo
anticipa la fame del personaggio: Jezabel, la seduttrice dei testi sacri,
diventata la donna “cattiva” per antonomasia, mangiatrice di uomini, mai paga
delle conquiste maschili. C’è qualcos’altro ancora in Gladys Eysenach, perché
il potere di seduzione che esercita è solo una costante riprova della sua
bellezza e del suo fascino, e Gladys ha bisogno di questa prova perché Gladys è
come Narciso, innamorata solo di se stessa. Legare a sé un uomo, vederlo ai
suoi piedi, è per Gladys secondario: la cosa più importante è vedersi riflessa
in tutto il suo splendore negli occhi dell’uomo.
Gladys aveva della propria bellezza una consapevolezza profonda, che non l’abbandonava mai e le dava una pace interiore in ogni momento della giornata. La sua vita era semplice: vestirsi, piacere, incontrare un uomo innamorato, e poi ancora vestirsi, piacere…
Il romanzo inizia dalla fine, dall’aula di
tribunale a Parigi in cui si svolge il processo a Gladys Eysenach, accusata di
aver ucciso il giovane Bernard Martin. E’ inutile che la difesa si sforzi di
trovare delle attenuanti, non serve che l’accusa martelli di domande Gladys,
diafana e sempre bella nonostante la reclusione, per capire quale fosse il suo
rapporto con l’uomo a cui ha sparato. E mentre i testimoni sfilano accumulando
dettagli sulla vita della donna- cresciuta con la madre, ospite di una cugina a
Londra per un breve periodo, andata sposa giovanissima, una figlia morta, un
secondo matrimonio, viaggi in tutto il mondo, di recente un amante italiano che
aveva però rifiutato di sposare, visite in una casa di appuntamenti, e poi
questo ragazzo che lei si recava a trovare anche se il letto non appariva mai
sfatto-, Gladys tace. Riconosce soltanto di aver sparato a Bernard Martin, e
che sia finito tutto presto.
A questo punto la storia si
riavvolge su se stessa e incomincia dall’inizio, dando un ordine a tutte le
dicerie, mettendo insieme i pezzi del puzzle. La Gladys che appare
assomiglia un poco alla indimenticabile Fanny (persino i nomi hanno una certa
somiglianza) del romanzo “Mr. Skeffington” di Elizabeth von Arnim: entrambe
donne bellissime che non tollerano il pensiero di invecchiare, che si tolgono
gli anni in una finzione a cui finiscono loro stesse per credere. Ma in Gladys
non c’è quell’umana capitolazione che abbiamo visto in Fanny, Gladys è capace
di fermare anche l’età della figlia in un’eterna fanciullezza purché nessuno
sappia che lei è madre di una giovane in età da marito. Quanto poi alla
possibilità di diventare nonna…no, è escluso. E’ una sorta di patto faustiano,
quello che Gladys stringe con il diavolo. Come il dottor Faustus di Marlowe, la
ritroviamo ad invocare una manciata di anni di finta giovinezza, no, le bastano
dei mesi, ma che non si sappia la sua età, intanto nessuno potrebbe mai
indovinarla. Finché appare sulla scena il giovane Bernard Martin, e qui non
diciamo altro sulla trama del libro.
Si è già detto altrove che i romanzi della
Némirovsky hanno del feuilleton,
ricamano storie che non contengono nulla di nuovo di per sé, ma l’abilità e la
finezza con cui tratteggia i suoi personaggi, la sospensione leggera che
inserisce nelle vicende per farle terminare con un finale sorprendente, la
padronanza e la sottigliezza del linguaggio fanno di lei una grande e
godibilissima scrittrice. Sempre un grande piacere leggerla.
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