sabato 26 aprile 2014

Andrea Molesini, "Non tutti i bastardi sono di Vienna" ed. 2010


                                                           prima guerra mondiale
                    il libro ritrovato

Andrea Molesini, “Non tutti i bastardi sono di Vienna”
Ed. Sellerio, pagg. 361, Euro 14,00

    “La verità è che tutti i soldati meritano un monumento, una canzone funebre. Ci dovrebbe essere un giorno dedicato alla memoria di ciascuno di loro, solo perché sono stati soldati, perché erano lì a fare quello che si chiedeva loro di fare. Ma i giorni sono pochi, troppi i morti.”

   Un ragazzo di diciassette anni. Il nonno e la nonna. La zia Maria. Giulia, ventitreenne, fuggita da Venezia per uno scandalo. La cuoca Teresa e sua figlia Loretta. Il custode Renato. E la casa, una villa signorile nella campagna veneta al di là del Piave. Il 24 ottobre 1917 l’esercito italiano veniva sconfitto a Caporetto e la vicenda del bel romanzo di Andrea Molesini, “Non tutti i bastardi sono di Vienna”, ha inizio nei giorni subito dopo la ritirata. Quando il capitano austriaco Korpium si presenta a Villa Spada e requisisce la casa. E’ la voce del vincitore, la sua, che non ammette repliche: “Siamo diciotto fra ufficiali e attendenti, ci sistemiamo qui”. E ancora: “Se credete di non poterci accogliere…dovrete sloggiare dalla casa”.            

    Svegliarsi con il nemico in casa. Pranzare con il nemico. Essere ospiti del nemico nella propria casa: esiste una maniera più dura per diventare grandi, tutto di un colpo? La vita non è stata lieve per il giovane Paolo, rimasto orfano di entrambi i genitori. E per fortuna ha i due nonni, ognuno dei quali un personaggio rimarchevole: nonno Guglielmo che finge di essere uno scrittore battendo sui tasti della Underwood che ha ribattezzato Belzebù e nonna Nancy, per metà inglese, altera e inflessibile, con una schiera di ammiratori nonostante l’età. E ha anche la zia Maria, fiera come i cavalli per cui ha una vera passione,e Giulia, che lo risveglia all’amore. Ma c’è ancora molto in serbo per Paolo, in quello che è l’ultimo anno di guerra. Perché si ritrova coinvolto in quella guerra in prima persona- d’altra parte hanno già richiamato ‘i ragazzi del ‘99’, fra poco toccherebbe a lui, e aiutare nel passare informazioni agli inglesi è pericoloso, sì, ma non certo quanto combattere in prima linea.
    C’è un crescendo di violenza- la violenza della guerra che offre un’autogiustificazione- nel romanzo di Molesini. Il primo tremendo episodio, che giunge dopo le schermaglie da minuetto dell’occupazione di Villa Spada, è quello dello stupro delle ragazze in chiesa. Il solito bottino di guerra, come se le donne fossero una merce di cui disporre. Donna Maria vorrebbe la fucilazione dei colpevoli, il capitano Korpium li manda sul Grappa (“c’è l’inferno su quella montagna”). Seguiranno altri drammi, piccoli e grandi, pubblici e privati- bisogna consegnare la campana, la voce del paese e non solo della chiesa, due traditori vengono giustiziati, tedeschi e ungheresi danno il cambio agli austriaci nella villa, i gatti finiscono in pentola (ma Teresa è una cuoca così brava che sembra di mangiare coniglio), Giulia dai capelli rossi stuzzica Paolo, si concede (probabilmente) al custode facendo ingelosire Loretta (e come possa essere letale la gelosia di una donna lo vedremo alla fine), un pilota inglese sorvola troppo spesso Villa Spada per ‘leggere’ i messaggi cifrati della nonna (persiane aperte o chiuse, biancheria stesa. Lui verrà preso, e con lui saranno arrestati il custode, il nonno e Paolo). E intanto le truppe passano dal paese, avanzano, si ritirano, si resiste sul Piave (chi ricorda ancora la canzone che, fino agli anni ‘50, si insegnava ai bambini delle elementari e che diceva “il Piave mormorò, non passa lo straniero!”?). Fino alla battaglia campale che fa trasformare la chiesa in un ospedale, con il sagrato e il prato antistante la villa ricoperto di corpi straziati, donna Maria  e Teresa che si impegnano come crocerossine: sono le pagine più memorabili del libro, in una scena che fa pensare a “Guerra e pace” e che grida col sangue l’insensatezza della guerra.

      E’ un romanzo di guerra, “Non tutti i bastardi sono di Vienna”, un romanzo che mette in luce come la guerra stravolga la vita di ognuno, ed è anche, o forse prima di tutto, un bellissimo romanzo di formazione: se, come ben sappiamo, si diventa grandi quando si passa attraverso un’esperienza di morte, il percorso di Paolo subisce un’accelerazione con la guerra. Quando, dopo aver visto tanta gente morire intorno a lui, diventa lui stesso strumento di morte.

    Il romanzo di Andrea Morosini può trovare posto sullo scaffale dei libri accanto ad “Addio alle armi”-  so benissimo che suonerà blasfemo. E tuttavia penso che “Non tutti i bastardi sono di Vienna” possa reggere un paragone con il romanzo di Hemingway: a suo vantaggio ha una visione della guerra “dall’interno”, molto più sofferta di quella in cui la guerra è una sfida contro se stessi, una galleria di personaggi così varia e così ‘nostra’ (e penso anche al parroco, oltre all’ineffabile Teresa con le sue maledizioni in dialetto), la descrizione di una casa che cede sotto i colpi del nemico che ha bisogno di legna da ardere e ruba tutto quello che può, e manca- infine- della lacrimosa storia d’amore che è il punto debole di “Addio alle armi”. Un libro assolutamente da leggere.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it

Andrea Molesini, vincitore del Campiello 2011

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