il libro ritrovato
vento del Nord
Anne B. Ragde, “La casa delle bugie”
Ed. Neri Pozza, trad. Cristina
Falcinella, pagg. 316, Euro 17,00
Titolo originale: Berlinerpoplene
“Cosa sia successo negli ultimi vent’anni
non lo so, però…Mia madre voleva gestire le cose da sola. Indipendentemente
dall’impressione che può averle fatto la tua, lei avrebbe detto comunque di no.
Non è mai stata tipo da scendere a patti. Voleva comandare su tutto. A parte
quando nonno Tallak era vivo, naturalmente. Lo ascoltava sempre. Tutti lo
facevano. Morì quando io avevo diciassette anni, e fu proprio come..come se…”
Tutto si può dire dei tre fratelli
Neshov tranne che non svolgano con passione il lavoro che ognuno di loro si è
scelto. E almeno due di loro svolgono delle mansioni che i più non troverebbero
gradevoli: Tor, il maggiore, alleva maiali e il secondogenito Margido è il
titolare di un’impresa di pompe funebri. Erlend, molto più giovane, è, invece,
vetrinista. Ma di lui i fratelli non vogliono sapere niente, è solo grazie ad
una cartolina spedita in un momento di ebbrezza che Margido sa che Erlend vive
a Copenhagen.
E’ chiaro che ci sia qualcosa di sbagliato
in questa famiglia nella cui vecchia casa- una fattoria nelle vicinanze di
Trondheim, in Norvegia- ora abitano solo gli anziani genitori e Tor. Qualcosa
che afferriamo vagamente, all’inizio, e che comprendiamo sempre meglio
proseguendo la lettura de “La casa delle bugie”, primo romanzo di una trilogia
di Anne Ragde. Perché i tre fratelli non si vedono da più di vent’anni, perché
il cinquantaciquenne Tor tratta la madre con molto affetto ed invece evita il
padre nei cui confronti manifesta disprezzo. E non è strano, poi, che nessuno
dei tre si sia fatto una famiglia?
Nei primi tre capitoli la scrittrice
norvegese orchestra con maestria l’ambientazione introducendo i tre fratelli,
ad uno ad uno, focalizzando l’attenzione su ognuno di loro in modo che balzi
agli occhi la dedizione e la competenza con cui lavorano- Margido che si deve occupare
del funerale di un diciassettenne che si è suicidato (suo è anche il compito di
sostenere la famiglia affranta, ed è bravissimo), Erlend che addobba la vetrina
di Natale di una gioielleria come fosse un’opera d’arte (e scopriamo che è
omosessuale, convive con un giornalista basso e grasso, colleziona miniature
Swarowski), Tor che si occupa dei maiali con una cura e un affetto che
sarebbero più adeguati per degli esseri umani. E non possiamo non notare anche
quanto Tor e Margido siano soli, volutamente soli, quasi non osassero legarsi a
nessuno, mentre l’unico felicemente accoppiato (e da dodici anni) è Erlend, la
pecora nera della famiglia che è andato via di casa senza neppure salutare la
madre Anna. Ecco: la matriarca ottantenne Anna ha un ictus e viene ricoverata
in ospedale. Quando muore, dopo qualche giorno, Tor è l’unico distrutto dal
dolore ma non è più l’unico figlio accanto a lei: per decenza sono arrivati
anche Margido ed Erlend. E Torunn, la figlia illegittima di Tor di cui né gli
zii né il nonno sapevano l’esistenza e che ha un’affinità singolare con quel
padre che sente solo ogni tanto per telefono: fa la veterinaria, anche lei ha
una propensione speciale per capire gli animali.
E’ solo con la morte della temibile Anna
che la famiglia si ricompone, anche se potrebbe andare definitivamente in pezzi
per tutti i segreti che vengono svelati. Insieme alle ragnatele e alla
sporcizia che Erlend e Torunn, armati di guanti di gomma, ammoniaca e
spazzolone, tolgono da finestre e mobili della fattoria che un tempo aveva
un’aria di nobiltà contadina, insieme al vecchiume che danno alle fiamme in
cortile, anche vecchi pregiudizi, moralismi gretti ed incomprensioni vengono
spazzati via. Ma la parte più bella del romanzo non è il finale che sa di soap
opera televisiva, piuttosto tutto quello che precede le rivelazioni che sono un
poco scontate. Ognuno dei personaggi, così diversi l’uno dall’altro, ci intriga
in quei capitoli dove la narrazione è sempre in terza persona pur dando
l’impressione che sia invece il protagonista a parlare. E, tra i tre fratelli,
quello che più suscita la nostra empatia è Tor, il figlio prediletto e quindi
anche il più danneggiato dal rapporto con la madre.
E’ un bell’inizio di una saga, il romanzo
di Anne Ragde, con lo sfondo dei fiordi e della neve e con la leggera ironia
del continuo paragone tra l’evoluta vicina Danimarca e la noiosa e puritana
Norvegia. Uno di quei romanzi che ti fanno aspettare con curiosità di poterne
leggere il seguito.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
la scrittrice Anna Ragde
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