mercoledì 11 gennaio 2023

Gianni Dubbini Venier, "L'avventuriero" Intervista 2023

 

                                          copyright A. Kaufmann

     Un libro di viaggio ha sempre un fascino tutto suo, sia che faccia tornare alla mente paesaggi visti durante un nostro viaggio o che faccia sognare di scenari e paesi che abbiamo sempre desiderato vedere. Il libro “L’avventuriero” di Gianni Dubbini Venier ha un doppio fascino, perché ci parla di un viaggio nel presente che però segue le tracce di quello fatto da un ragazzo veneziano nel secolo diciassettesimo. Ne parliamo con lo scrittore.

All’inizio del libro racconta come si è imbattuto in Nicolò Manucci e come ha iniziato le ricerche su di lui. Be’, poteva finire lì, poteva pensare ‘che tosto questo ragazzino’. E invece si è letteralmente messo sulle sue tracce. Che cosa lo ha spinto?

    Ottima domanda. Mi ha spinto il desiderio di ripercorrere l’itinerario di un mio conterraneo e poi volevo allinearmi con una tradizione che non è propria del nostro paese, quella della letteratura di viaggio. Ho avuto la fortuna di avere come maestro William Dalrymple- lo conosco dal 2012- e ho avuto un percorso di formazione in Inghilterra, dove mi sono specializzato in archeologia orientale alla SOAS- School of Oriental and African Studies- dell’Università di Londra. Volevo seguire la tradizione del mondo anglosassone seguendo le tracce di qualcuno, ma pensando ad un viaggio nel presente in luoghi caldi del mondo- era il momento della guerra in Siria-, volevo guardare con occhi del presente quello che un viaggiatore vedeva nel passato.

Con la debita differenza di età, si è sentito ‘il doppio’ di Nicolò durante questa esperienza?

    Nicolò aveva quattordici anni, io ero il suo ‘doppio’ e tuttavia non è che io fossi lui o qualcosa del genere, non mi sono immedesimato in lui. Era una guida che andava ricontestualizzata, era un viaggio da adattare al mondo contemporaneo. Per tutti e tre- per Nicolò, per Angelica, la fotografa che mi accompagnava, e per me- è stato un viaggio di formazione. Dobbiamo pensare che nel ‘600 a 14 anni si era già uomini. La carriera del mozzo, del midshipman, iniziava ad un’età molto giovane. In quel senso io, a 27 anni, ero ancora un ragazzino.

È stato un viaggio avventuroso e affascinante su cui ora Le farò una serie di domande:

   qual è stato- se c’è stato- il momento in cui ha avuto più paura per se stesso?


   In Turchia, quando ci fu una serie di attentati dal 27 luglio del 2015 all’agosto dello stesso anno. Il presidente Erdoğan aveva riaperto il conflitto con i curdi e noi stavamo vivendo un momento storico, attraversavamo regioni in un periodo di cambiamenti epocali. Il 4 agosto i guerriglieri curdi del PKK fecero saltare in aria la caserma turca di Doğubayazit. A seguito di questo furono chiuse le frontiere con l’Iran, noi ci trovavamo nella zona orientale e molte strade di quell’area furono fatte saltare, un autobus di turisti fu preso in ostaggio in un posto non lontano da dove ci trovavamo noi- tutto sempre per mano dei guerriglieri curdi. Ci furono poi anche attentati dell’Isis a Sud e altri ancora a Istanbul…

 Qual è stato il tratto più difficile del percorso?

    Per i nervi, il tratto più difficile è stato quello turco dove eravamo esposti ad eventi di un’attualità dirompente. Per il nostro fisico, invece, è stato l’attraversamento della frontiera tra Armenia e Iran. C’era stato l’incidente sul fiume Aras, avevamo dovuto attraversare la frontiera a piedi, con una temperatura di 50 gradi.

 Lo spettacolo che più lo ha emozionato?


    Il monte Ararat, visto dal monastero di Khor Virap, perché quello era finalmente il luogo dove ci ricollegavamo all’itinerario di Manucci. Ce la stavamo facendo, dopo la deviazione causata dai confini blindati tra Armenia e Turchia per le relazioni compromesse dalla questione del genocidio armeno non riconosciuto dai turchi in quanto tale. Un’emozione metafisica causata dal paesaggio, la cima innevata che si stagliava contro il cielo e poi l’euforia di essere vicini al successo del viaggio- non avevamo affatto avuto la sicurezza di poter uscire dalla Turchia.

L’esperienza più ‘strana’ o insolita che ha vissuto?

     La fortuna di vedere gli atleti iraniani che ci hanno concesso di assistere agli allenamenti della loro ginnastica tradizionale, lo zurkaneh, una specie di arte marziale che proviene dal sufi. È stata un’esperienza unica, anche perché, oltretutto, le donne non sono ammesse ed è stata fatta un’eccezione per Angelica.


Di tutte le conoscenze fatte, quale la più memorabile e significativa?

    Il libraio di Isfahan, Iman. Mi ha dato lui stesso il permesso di fare il suo nome, perché racconta la sua esperienza di vendere titoli difficili da reperire in Iran, sottoposti a censura. Non posso dimenticare la sua ospitalità, come gestisce la libreria, con edizioni in farsi di libri come il ‘Candide’ di Voltaire- qualcosa di inimmaginabile, trovare la traduzione in farsi di libri come questo. Certo, c’è anche il Corano tra i libri che vende, ma sta accanto a Woody Allen, al Decamerone di Boccaccio. Non dimenticherò le nostre discussioni, il nostro parlare di quello che succede in Iran. E parlo tuttora con lui. È un’emozione capire meglio quello che succede tramite qualcuno che vive queste esperienze. Non riusciamo neppure ad immaginare che cosa voglia dire essere sempre a rischio di arresto e di tortura per quello che si fa o si dice. Non nei nostri tempi, almeno.

Il luogo dove tornerebbe subito, se potesse?

    Isfahan. Tornerei ad Isfahan, andrei a trovare il mio amico, andrei a rivedere la piazza- Meidan Naqsh-e-jahan in persiano, cioè ‘l’immagine del mondo’, la seconda piazza più grande del mondo, con quella splendida cupola azzurra, e il Chehel Sotoun, il palazzo per ricevere gli ambasciatori stranieri, il bazar…

Chehel Sotoun. il Palazzo delle Quaranta Colonne

Ha qualche rimpianto per qualcosa che non è riuscito a fare?

   No, sinceramente no. Anche la scelta di fare il viaggio in due pezzi ha un suo perché: siamo ripartiti dallo stesso punto. Vorrei ancora andare in India, spero di farlo quest’anno.

Ecco, a proposito di un viaggio in India- ha in programma un altro libro?

     Sì, come ho scritto nel poscritto del libro, vorrei continuare l’itinerario di Manucci nel subcontinente indiano. Lui ha vissuto in un tempo in cui non c’erano ancora le divisioni create dalla colonizzazione con le loro disastrose conseguenze. Io vorrei andare nell’India come l’aveva vista Manucci, senza tener conto delle frontiere, vorrei andare nel subcontinente indiano, nell’India come entità geografica e culturale che nel mondo Mogul di Manucci si estendeva da Kabul al Sud includendo Dacca e Lahore.



Nessun commento:

Posta un commento