Voci da mondi diversi. America Latina
la Storia nel romanzo
Mario Vargas Llosa, “La festa del caprone”
Ed. Einaudi, trad. G. Felici, pagg.
467, Euro 14,00, formato Kindle 7,99
Come mi succede ogni volta che ‘scopro’
un grande libro a distanza di anni (troppi), mi rammarico di non aver preso
prima in mano “La festa del caprone” di Mario Vargas Llosa. O forse è un bene
che sia così, per averlo potuto leggere con calma in questo ‘non-tempo’
regolato dal coronavirus. Perché “La festa del caprone” è un capolavoro e
sarebbe ingiusto strizzarne la lettura fra un best-seller e un altro.
È un romanzo epico, un romanzo storico,
un romanzo rivoluzionario, una denuncia fortissima. Un romanzo grandioso
incentrato sul ‘Caprone’- el Chivo-,
il dittatore Rafael Leónidas
Trujillo che dal 1930 al 1961 governò con pugno di ferro e crudeltà inaudita a
Santo Domingo. Finì i suoi giorni crivellato di colpi- nessuna pietà per il
Caprone- in un attentato organizzato da persone che gli erano vicino e,
probabilmente, sostenuto dalla CIA.
Trujillo e il Presidente fantoccio Balaguer |
Sono tre i filoni narrativi che si
alternano in questo libro che tiene il lettore incollato fino all’ultima pagina
con sentimenti misti di compassione (per Urania Cabral, protagonista del primo
filone), di disgusto e orrore per el
Chivo, di ansia per gli uomini che hanno teso l’agguato al Generalissimo
sulla strada che porta ad una delle sue case (sappiamo l’esito dell’attentato,
ma che ne sarà di loro?).
Urania Cabral, figlia dell’ex presidente
del Senato di Trujillo, ritorna a Santo Domingo dopo trentacinque anni di
assenza. Aveva quattordici anni quando, una decina di giorni prima dell’assassinio
del Capo, era partita con una borsa di studio per gli Stati Uniti. In fretta e
furia, una suora della scuola che frequentava si era occupata di tutto. Non
aveva neppure salutato il padre che adorava. Prima. Prima della notte in cui
aveva perso l’innocenza, in cui aveva iniziato a disprezzare il padre, a
provare repulsione per tutti gli uomini. Le è impossibile dimenticare. O
perdonare. Può solo, per la prima volta, raccontare alla zia e alle cugine.
Il filone centrale è quello in cui seguiamo
le giornate, i pensieri e gli incontri di Rafael
Leónidas Trujillo e
si delinea la sua personalità. Di origine modeste, formatosi alla scuola di
addestramento dei marines, con
un’abilità diabolica di tessere una ragnatela di rapporti di soggezione e di
dipendenza, fatta di corruzione e minacce nascoste, di aperte rappresaglie e
vendette, Trujillo (e i suoi figli) si ritenevano gli arbitri della vita e
della morte di chiunque sull’isola. Il settantenne Trujillo che si crede il
padrone del suo universo, non riesce più, però, a comandare al suo corpo- spia
con ansia i pantaloni temendo una macchia rivelatrice, rabbrividisce al ricordo
dell’umiliazione subita durante l’incontro con una ragazzetta scheletrica. È un
gigante coi piedi di argilla che non ci fa pena.
Mentre sprofondiamo nell’atmosfera di
diffuso terrore- che cosa può aver fatto il senatore Cabral per alienarsi il
favore del Capo, per assomigliare ad un personaggio kafkiano in attesa di
sentenza, per renderlo disposto a tutto, anche a sacrificare la figlia (come
nei miti greci) per rientrare nelle sue grazie?-, accompagniamo i coraggiosi
che mettono a rischio la vita loro e delle loro famiglie per togliere di mezzo
l’uomo che ha calpestato la dignità, l’onore, la decenza, la libertà di un
popolo intero riducendolo ad un servile silenzio. E quello che verrà dopo,
immediatamente dopo, sarà terribile perché un anello della catena ha ceduto.
Più terribile di quanto si possa immaginare.
Il figlio Ramfis |
Il tempo si sposta avanti e indietro,
cambia l’io narrante, il racconto da oggettivo diventa flusso di coscienza,
sempre più incalzante. Questo è un grande romanzo che supera le barriere del
tempo, l’opera di un grande scrittore. Assolutamente da leggere per chi già non
lo avesse letto.
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