domenica 2 febbraio 2020

Philip Kerr, “Violette di marzo” ed. 2020


                                 Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
                                                      cento sfumature di giallo


Philip Kerr, “Violette di marzo”
Ed. Fazi, trad. P. Bernardini, pagg. 317, Euro 15,00

       Ritorna Bernhard Gunther, ritorna “Violette di marzo”, pubblicato per la prima volta nel 1989 e primo della “Trilogia berlinese” di Philip Kerr, scrittore scozzese morto prematuramente nel 2018. Il personaggio di Bernie Gunther, investigatore privato, ex poliziotto, una croce di ferro guadagnata in guerra, vedovo e donnaiolo, antinazista, ci ricorda Gerhard Selb, il detective protagonista della serie di Bernhard Schlink- è però di una trentina d’anni più giovane e le sue indagini si svolgono nella Berlino in piena epoca nazista, più o meno come la trilogia di Harald Gilbers il cui personaggio, invece, è del tutto diverso. L’Oppenheimer di Gilbers, ebreo la cui incolumità dipende dalla moglie ariana, non può avere la spavalderia di Bernie, non potrebbe mai avere l’ardire di professare il suo antinazismo così apertamente come Bernie, simpatico, audace, sfrontato, un po’ scassinatore, un po’ assassino, un po’ viveur. Perché le porte chiuse non sono mai un ostacolo per Bernie, se c’è da usare la pistola per salvarsi la pelle- be’, mors tua vita mea. E se c’è una donna disponibile, Bernie non dice di no.

      È il 1936. Siamo a Berlino. La guerra è nell’aria, anche se è lontana. Non sono ancora iniziate le deportazioni massicce, ma i primi campi di concentramento sono già in funzione. Goebbels conciona senza fine dagli altoparlanti. Il ritratto del Führer  è ovunque. Braccia tese scattano nel saluto. E le ‘violette di marzo’ sono gli opportunisti, quelli che sono saltati sul carro del nazismo non per convinzione ma per trarne vantaggio personale. Spuntano ovunque, le violette di marzo.
      Un imprenditore ricchissimo si rivolge a Bernie per scoprire chi ha ucciso sua figlia e suo genero, dando fuoco alla loro dimora non prima però di aver aperto la cassaforte (l’assassino li ha obbligati a dirgli la combinazione?) e aver rubato i preziosi gioielli. Ha rubato una collana di diamanti di Cartier: come si può riuscire a rivendere un pezzo del genere? Herr Six è un tipo abituato a dare ordini, ma se pensa che Bernie si limiti ad eseguire delle ricerche ristrette, si sbaglia. L’indagine di Bernie apre il sipario sulla corruzione delle alte sfere, conduce molto più lontano di quello che il furto di una collana (per quanto di Cartier) con un omicidio piuttosto ambiguo potrebbe far pensare. Soprattutto mette a nudo l’atmosfera di paura che serpeggia. Paura di una parola di troppo, di una delazione, di uno sguardo non abbastanza adorante al ritratto del Führer, di un braccio non teso. La gente scompare, a Berlino. Quando scompare la donna con cui ha iniziato una relazione, Bernie cerca di sapere dove sia finita tramite un vecchio amico nella polizia- tutto inutile. E poi Bernie stesso finisce a Dachau, ha la garanzia di uscirne soltanto se…

     Due personaggi veri fanno la loro comparsa (piuttosto importante) nelle pagine del romanzo, Goering e Heydrich, e l’averli inseriti aggiunge un tocco di ‘storicità’ alla finzione. La narrativa procede veloce, ad un certo punto sembra perfino che succeda ‘troppo’ e a ritmo vertiginoso- ma è giusto che sia così, in una detective story ad alta tensione. Un appunto: il ‘vizio’ stilistico di Philip Kerr di inserire troppo spesso metafore o similitudini (un esempio tra i tanti: “era imperturbabile come un forziere in fondo all’oceano). Dapprima sono divertenti, poi diventano stancanti.
     Una cosa è sicura: non guarderemo più le prime viole di marzo senza pensare a Bernie Gunther.

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