Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
cento sfumature di giallo
Philip Kerr, “Violette di marzo”
Ed. Fazi, trad. P. Bernardini, pagg.
317, Euro 15,00
Ritorna Bernhard Gunther, ritorna “Violette di marzo”,
pubblicato per la prima volta nel 1989 e primo della “Trilogia berlinese” di
Philip Kerr, scrittore scozzese morto prematuramente nel 2018. Il personaggio
di Bernie Gunther, investigatore privato, ex poliziotto, una croce di ferro
guadagnata in guerra, vedovo e donnaiolo, antinazista, ci ricorda Gerhard Selb,
il detective protagonista della serie di Bernhard Schlink- è però
di una trentina d’anni più giovane e le sue indagini si svolgono nella Berlino
in piena epoca nazista, più o meno come la trilogia di Harald Gilbers il cui
personaggio, invece, è del tutto diverso. L’Oppenheimer di Gilbers, ebreo la
cui incolumità dipende dalla moglie ariana, non può avere la spavalderia di
Bernie, non potrebbe mai avere l’ardire di professare il suo antinazismo così
apertamente come Bernie, simpatico, audace, sfrontato, un po’ scassinatore, un
po’ assassino, un po’ viveur. Perché
le porte chiuse non sono mai un ostacolo per Bernie, se c’è da usare la pistola
per salvarsi la pelle- be’, mors tua vita
mea. E se c’è una donna disponibile, Bernie non dice di no.
È il 1936. Siamo a Berlino. La guerra è nell’aria, anche se è lontana. Non
sono ancora iniziate le deportazioni massicce, ma i primi campi di
concentramento sono già in funzione. Goebbels conciona senza fine dagli
altoparlanti. Il ritratto del Führer è ovunque. Braccia tese scattano nel saluto. E
le ‘violette di marzo’ sono gli opportunisti, quelli che sono saltati sul carro
del nazismo non per convinzione ma per trarne vantaggio personale. Spuntano
ovunque, le violette di marzo.
Un imprenditore ricchissimo si rivolge a
Bernie per scoprire chi ha ucciso sua figlia e suo genero, dando fuoco alla
loro dimora non prima però di aver aperto la cassaforte (l’assassino li ha
obbligati a dirgli la combinazione?) e aver rubato i preziosi gioielli. Ha
rubato una collana di diamanti di Cartier: come si può riuscire a rivendere un
pezzo del genere? Herr Six è un tipo abituato a dare ordini, ma se pensa che
Bernie si limiti ad eseguire delle ricerche ristrette, si sbaglia. L’indagine
di Bernie apre il sipario sulla corruzione delle alte sfere, conduce molto più
lontano di quello che il furto di una collana (per quanto di Cartier) con un
omicidio piuttosto ambiguo potrebbe far pensare. Soprattutto mette a nudo
l’atmosfera di paura che serpeggia. Paura di una parola di troppo, di una
delazione, di uno sguardo non abbastanza adorante al ritratto del Führer,
di un braccio non teso. La gente scompare, a Berlino. Quando scompare la donna
con cui ha iniziato una relazione, Bernie cerca di sapere dove sia finita
tramite un vecchio amico nella polizia- tutto inutile. E poi Bernie stesso
finisce a Dachau, ha la garanzia di uscirne soltanto se…
Due personaggi veri fanno la loro comparsa (piuttosto importante) nelle
pagine del romanzo, Goering e Heydrich, e l’averli inseriti aggiunge un tocco
di ‘storicità’ alla finzione. La narrativa procede veloce, ad un certo punto
sembra perfino che succeda ‘troppo’ e a ritmo vertiginoso- ma è giusto che sia
così, in una detective story ad alta tensione. Un appunto: il ‘vizio’
stilistico di Philip Kerr di inserire troppo spesso metafore o similitudini (un
esempio tra i tanti: “era imperturbabile come un forziere in fondo all’oceano).
Dapprima sono divertenti, poi diventano stancanti.
Una cosa è sicura: non guarderemo più le prime viole di marzo senza
pensare a Bernie Gunther.
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