Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
il libro ritrovato
Robert McLiam Wilson, “Il dolore di Manfred”
Ed. Fazi, trad. Lucia Olivieri,
pagg.220, Euro 13,50
La mancanza di Emma era uno strazio continuo. Manfred visse il primo anno senza di lei in uno stato di angoscioso appannamento, recitando sul palcoscenico della propria vita e sopportandone il peso, senza che quel che faceva lasciasse in lui alcun ricordo o quasi.
Sembra che tutto sia stato detto
sull’amore, e poi c’è sempre uno scrittore di talento che riesce ad aggiungere
qualcosa, a dire di più, o dire meglio, o scandagliare più a fondo un
sentimento complesso e multiforme. Il protagonista de “Il dolore di Manfred”
dello scrittore nord-irlandese Robert McLiam Wilson è una figura insolita, un
ebreo inglese agnostico, cresciuto in una famiglia non osservante, per cui il
suo essere ebreo si riduceva a quel nome dal suono tedesco e all’essere il
bersaglio di filastrocche irrisorie a scuola. Quando- più tardi, molto più
tardi- ne avrà acquistato la sofferta consapevolezza attraverso l’ebraicità
della moglie, sarà il giovane di colore, suo vicino di casa, che sminuirà il
fatto, rispondendo con una domanda analoga, “e lei lo sapeva che sono negro?” a
quella di Manfred, “lo sapeva che sono ebreo?”. E’ la sua vita ad essere
insolita, il suo rapporto con la moglie che lui ama moltissimo, e lo si
percepisce dall’emozione e dall’ansia che è un misto di felicità e dolore con
cui si prepara ad ogni incontro con lei. Manfred è separato da Emma da più di
vent’anni e, per un accordo tra loro di cui scopriremo la causa solo alla fine,
può incontrarla solo una volta al mese, su una panchina del parco. Ma deve
girarle le spalle, non guardarla mai. Altrimenti lei si alza e se ne va- come
in una vecchia favola. E adesso Manfred è anziano e ammalato di tumore e il
libro è uno studio del dolore di Manfred, “pain” e non “sorrow” nel titolo in
inglese, un dolore di sofferenza fisica che è un proseguimento naturale di un
altro tipo di dolore, quello da lui provato per quello che ha inflitto alla
moglie. Si alternano i capitoli in cui un sempre più sofferente Manfred si
prepara all’incontro mensile con Emma,
aiuta una prostituta, scambia due parole
con il vicino di casa, viene insultato
in metropolitana da un ragazzo che fraintende lo sguardo con cui Manfred fissa
la sua compagna: assomiglia così tanto a Emma da giovane!- e quelli in cui viene
rievocata la vita di Manfred, inviato in Africa a combattere una guerra che gli
è estranea, lo sbarco in Sicilia, l’assedio di Montecassino, Berlino rasa al
suolo, la violenza dei vincitori e l’umiliazione dei vinti. E poi il ritorno in
una Londra agonizzante, l’incontro con Emma che non vuole parlare del suo
passato: Manfred sa solo che è di Praga, che in un tempo finito si chiamava
Rosza, che è stata internata a Birkenau e la sua famiglia è stata sterminata.
Qual
è il demone che porta Manfred a distruggere l’amore e la felicità che ha
trovato con Emma? E che cosa, nel passato di Emma, fa sì che lei accetti di
diventare la vittima di Manfred? Fino a quando lei parla, racconta per una
notte intera, e al mattino Manfred esce di casa e accetta le sue condizioni, di
incontrarla una volta al mese e di non guardarla più. La più sottile e crudele
delle punizioni.
Robert McLiam Wilson è stato invitato, quest'anno, al Festival delle Letterature di Massenzio. Attendiamo tutti con ansia la pubblicazione del suo nuovo romanzo, "The extremists".
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