il libro ritrovato
Helen Humphreys, “Notturno”
Ed. playground, trad. Fabio
Viola, pagg.185, Euro 15,00
“Notturno”, come il titolo di un brano
musicale, come un “Notturno” di Chopin, per il libro che la scrittrice canadese
Helen Humphreys dedica alla memoria del fratello Martin che aveva la musica nel
sangue, che interpretava il mondo con la musica, che leggeva perfino il suo
conto in banca con la musica: il codice segreto del suo bancomat erano le prime
quattro note della Quinta Sinfonia di
Beethoven, 5552.
“Vita e morte di mio fratello”,
recita il sottotitolo del libro che, tuttavia, è dedicato dalla scrittrice ‘A
mia sorella’- perché questo “Notturno” è
destinato a diventare la collezione di ricordi che manterrà in vita un uomo che
è morto troppo presto e troppo velocemente per un tumore al pancreas. Ed è impossibile,
leggendo il libro di Helen Humphreys, non ricordare anche le più belle elegie
funebri che i grandi della letteratura hanno scritto, prima fra tutte “Lycidas”
di John Milton. Perché, in “Notturno”, come in “Lycidas”, echeggia nel
sottofondo la domanda senza risposta del ‘perché’: perché questa ingiustizia,
perché se ne devono andare così presto delle persone di valore, come Martin
Humphreys o come l’Edward King ricordato da Milton, mentre uomini malvagi o
insignificanti prosperano a lungo? E a nulla servono i versi di Menandro,
“muore giovane chi al cielo è caro”.
Helen Humphreys non si limita a
ricostruire l’immagine del fratello in “Notturno”. Obbedendo a quanto le ha
detto Martin che le è apparso in sogno, racconta a lui che non c’è più quello
che le succede nella vita quotidiana. La narrazione, allora, mescola ricordi di
infanzia con le strazianti immagini di Martin dopo gli interventi in ospedale,
vacanze passate insieme con tour fatti di recente da Helen per presentare un
libro, chiacchiere al telefono con lui ancora vivo con le chiamate che Helen fa
solo per sentire la sua voce registrata sulla segreteria. Come si fa con un
ammalato in coma a cui è necessario parlare perché gli giunga un messaggio dal
mondo che continua a scorrere accanto a lui, così fa Helen Humphreys con suo fratello.
Gli parla. Perché non dimentichi quello che è stato, perché, nel caso si
risvegliasse come Rip van Winkle, non soffra di spaesamento. E, nello stesso
tempo, questo dialogo che non si interrompe, che letteralmente è un monologo ma
è come se Helen sentisse i commenti e le risposte del fratello, è una
consolazione per Helen, è un trattenere Martin per il lembo della camicia,
perché una persona continua a vivere finché è rievocata nei ricordi.
Martin che
a quattro anni rubava lo sgabello alla sorella sedendosi al pianoforte al suo
posto, la rivelazione delle sue doti straordinarie, le prime esibizioni e il
parallelo con l’attività creatrice di Helen- note musicali per lui, parole per
lei. Gli oggetti lasciati da Martin- gli può interessare sapere come ne abbiano
disposto e le sensazioni che Helen ha provato entrando nella sua casa. La vita
che lui ha abbandonato, i lavoretti che gli permettevano di mantenersi senza
rinunciare a quello che per lui era più importante, comporre. Quello che Helen
ha fatto dopo la sua morte. Un
capitolo curioso per noi è quello in cui Helen gli racconta della sua
esperienza a Mantova dove è stata invitata per l’annuale Festival della
Letteratura. A Martin sarebbe piaciuta Mantova- e lei gliela descrive.
Diverso da tutto quello che Helen Humphreys
ha scritto finora, “Notturno” è un libro intimista che riesce a superare quanto
c’è di strettamente personale nel ricordo e a rendere universale il percorso
lungo e difficile della rielaborazione del lutto.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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