Voci da mondi diversi. Giappone
Voci da mondi diversi. Area germanica
seconda guerra mondiale
Ed.
Feltrinelli, trad. Nicoletta Giacon, pagg 114, Euro 14,00
Il 6 e il 9 agosto 1945 le bombe atomiche
sganciate dagli americani su Hiroshima e Nagasaki stroncavano ogni resistenza e
mettevano di fatto fine alla guerra.
Il 15 agosto 1945 l’imperatore Hirohito si
rivolse per la prima volta ai suoi sudditi dichiarando la resa del Giappone e,
nel discorso del primo gennaio 1946, smentiva
di essere l’incarnazione vivente di un dio.
Per i giapponesi fu un’onta, una vergogna, il
crollo di un mondo, di tutto quello in cui avevano creduto.
Ventinove anni dopo, nel febbraio del 1974, uno studente dell’Università di Tokyo fu il primo ad incontrare, nella piccola isola di Lubang, nelle Filippine, il tenente Hiroo Onoda e a dargli la notizia della fine della guerra. Per ventinove anni Onoda, con una divisa ormai in brandelli, aveva continuato a combattere, perché questo era l’ordine che aveva ricevuto, “Ogni uomo su quest’isola è mio nemico”, dirà allo studente. E sarà oltremodo difficile convincerlo del contrario. Vuole delle prove, Onoda. Vuole che sia uno dei suoi comandanti a dirgli di persona che la guerra è finita e dargli l’ordine di cessare le ostilità. Solo così si arrenderebbe.
L’acclamato regista Werner Herzog (tra i
suoi film più conosciuti, Nosferatu, Fitzcarraldo, Cobra Verde, Grizzly Man)
era in Giappone nel 1997 per mettere in scena l’opera del compositore Shigeaki
Saegusa ed aveva ricevuto l’invito ad un’udienza privata con l’imperatore. Di
che cosa poteva mai parlare con l’imperatore? Era stato un rifiuto offensivo,
caduto nel gelido silenzio dei presenti. E però gli era stato chiesto chi
avrebbe voluto incontrare, allora, in Giappone. Hiroo Onoda.
Il
libro “Il crepuscolo del mondo” nasce da questo incontro, parte realtà, parte
immaginazione, scritto con un linguaggio straordinariamente poetico che nulla
toglie alla durezza dell’esistenza di Onoda, evocativo nel creare immagini
della giungla con tutti i suoi odori e rumori- la nebbia, benvenuta perché si
mescola con il fumo del fuoco, la pioggia che fa arrugginire le armi e impregna
le divise, gli animali-, credibile nell’immedesimarsi in un uomo (giovanissimo
all’inizio della guerra) che era diventato adulto sotto il peso di una
responsabilità a cui aveva risposto con una obbedienza e fedeltà cieca,
respingendo qualunque dubbio, interpretando in maniera personale i segni di una
modernità e di un cambiamento impossibili da immaginare. Non erano una
dimostrazione che la guerra continuava, gli aerei che vedeva passare? Guerra di
Corea? Guerra del Vietnam? Americani contro i comunisti? Che cosa voleva dire
tutto questo?
Il tenente Onoda, con la sua spada da samurai (eredità di famiglia) salvata dalla ruggine (lui e i suoi due compagni avevano scoperto come estrarre l’olio dalle noci di cocco per lubrificare e proteggere le armi), è una figura che ha del Robinson Crusoe in circostanze ancora più estreme e del Rip van Winkle che si risveglia dopo un sonno durato anni per trovarsi in un mondo che non conosce, che è andato avanti, lasciando lui, Hiroo Onoda, fermo agli anni ‘40, del tutto solo dopo la morte dei due altri soldati e la defezione di un terzo. Eppure non era impazzito. Dove aveva trovato la forza per portare avanti la sua guerra? È un uomo da ammirare, un eroe invincibile e incrollabile che non può prosciogliersi da solo da un giuramento, che crede che l’onore debba essere salvaguardato ad ogni costo, che resta deluso dalla società giapponese che trova al suo risveglio (è stato tutto un lungo sogno, il suo? O è questa nuova realtà ad essere un sogno?)- il Giappone ha perso la sua anima.
Il tenente Onoda ebbe un’altra vita dopo
la sua lunga guerra. Andò in Brasile a disboscare una foresta e ad allevare
bestiame, tornò poi in Giappone dove aprì una scuola per insegnare tecniche di
sopravvivenza ai bambini, si sposò e morì a Tokyo a 91 anni.
Onoda aveva chiesto a Herzog di tradurre
dei versi di una canzone che cantava, nell’isola di Lubang, per farsi coraggio.
Ed è con questi versi che termino di parlare della storia da leggere di un uomo
ammirevole, di un’anima luminosa.
Posso
sembrare un vagabondo o un mendicante,
Ma tu, luna silente, sei testimone dello splendore della mia anima.
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