Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
cento sfumature di giallo
Lisa Jewell, “La famiglia del piano di sopra”
Ed.
Neri Pozza, trad. A. Biavasco e V. Guani, pagg. 334, Euro 18,00
Metti un fine settimana di quelli uggiosi
con pioggerella sottile e un poco di raffreddore. Metti non aver voglia di fare
niente, tanto meno di mettersi a stirare. E prendi in mano il romanzo di Lisa
Jewell, “La famiglia del piano di sopra”. E in un attimo è lunedì.
Una voce narrante, quella di Henry Lamb,
che, nella prima pagina, fa un riassunto enigmatico della sua vita di un tempo, quando abitava al
numero 16 di Cheyne Walk, l’elegante strada di Chelsea dove hanno dimorato un
incredibile numero di persone famose, da uomini politici a poeti a persone del
mondo dello spettacolo.
Quando arrivarono io avevo undici anni
non ancora compiuti e mia sorella nove. (Chi arrivò?)
Vissero con noi per oltre cinque anni,
trasformando la nostra vita in un incubo. (Perché un incubo?
Che tipo di incubo?)
poi, quando io avevo sedici anni e mia
sorella quattordici, arrivò la piccola. (E chi è la piccola?)
Oltre a Henry Lamb, altri due personaggi saranno al centro della scena, portando ognuno avanti la trama o ritornando indietro alle vicende del passato, colmandone i vuoti- Libby Jones e Lucy Smith. Non è il vero nome di nessuna delle due, lo sapremo in seguito.
Libby sa il poco che c’è da sapere sulla
sua primissima infanzia. È stata adottata dopo che la polizia ha trovato la
scena di un triplice suicidio entrando nella casa di 16 Cheyne Walk. Tre corpi
rivestiti con tuniche nere, sdraiati sul pavimento- una donna e due uomini. Sul
tavolo una lettera in cui chiedevano di prendersi cura di Serenity, la bimba di
dieci mesi nella culla al piano di sopra. Si trattava di Martina e Henry Lamb,
una volta ricchissimi- ora la casa era del tutto spoglia, ma c’era chi
ricordava le feste, i mobili e gli arredi. E Martina che vestiva ben altro che
un saio nero. Non si sapeva chi fosse l’altro uomo che nella lettera era
indicato con le iniziali D.T. Ci doveva essere stato qualcuno ad accudire alla
bambina, che stava benissimo e aveva il pannolino pulito.
Adesso che ha compiuto venticinque anni
Libby riceve una comunicazione dallo studio di un avvocato. Ha ereditato la
casa di Cheyne Walk, gli altri due eredi non si sono presentati.
Lucy Smith vive a Nizza con i suoi due
bambini ed è in una condizione di estrema indigenza. Suona il violino per le
strade, chiedendo l’elemosina. Se ha i soldi, affitta una camera in un ostello.
Quando non li ha, manda la bambina a dormire dalla nonna e lei e il maschietto
dormono sotto un ponte. Sul suo cellulare appare un pro-memoria: la piccola ha
compiuto venticinque anni. Lucy deve tornare in Inghilterra.
La meta di tutti e tre è Cheyne Walk, dove tutto è iniziato, ma, prima che si incontrino, noi avremo appreso tutta la storia da Henry (è affidabile come io narrante?). E’ una storia forse non molto originale, che echeggia di notizie che abbiamo letto sui giornali e che parla di sfruttatori, di manipolatori, di persone non del tutto felici che si lasciano abbindolare da chi le illude con un potere carismatico, che cadono nelle sue grinfie e restano invischiati in una ragnatela da cui diventa impossibile districarsi, sempre più ciechi, sempre più succubi, sempre più plagiati.
Lisa Jewell è veramente molto abile nel
tenerci avvinti alle pagine del romanzo. Perché la narrazione, spostandosi da
un filone all’altro, è molto vivace e ricca di colpi di scena- non ci siamo
ancora ripresi da quanto abbiamo letto che sta succedendo a Cheyne Walk alla
fine degli anni ‘80 e primi anni ‘90, e già sussultiamo per quello che deve
affrontare Lucy a Nizza e per le sorprese in serbo per Libby alla scoperta
della casa al 16 di Cheyne Walk. e anche quando tutto sembra essere
chiaro…oplà, un’altra giravolta.
Siamo d’accordo, non è alta letteratura, ma
un page-turner, un thriller psicologico intrigante e piacevole.
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Seguirà intervista con la scrittrice, invitata a Milano per il Noir in Festival
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