Voci da mondi diversi. India
Aravind Adiga, “Amnistia”
Ed. La Nave di Teseo, trad. Norman Gobetti, pagg. 320,
Euro 19,00
A Sydney, in Australia, è diventato Danny.
Prima, a casa nello Sri Lanka, si chiamava
Dhananjaya Rajaratnam. A Sydney si è fatto delle mèches bionde nei capelli.
A Sydney controlla il suo accento, cercando di imitare la pronuncia degli
australiani. A Sydney assolutamente non ascolta la musica tamil. Il suo scopo:
diventare australiano. Il maggiore ostacolo: Danny è un immigrato irregolare,
se viene beccato sarà espulso.
Danny aveva scelto una maniera legale per arrivare a Sydney, spendendo tutti i risparmi accumulati lavorando a Dubai, più quelli del padre- si era iscritto ad un corso universitario e aveva fatto domanda per essere accolto come rifugiato politico. La domanda era stata respinta. Danny aveva iniziato a lavorare come uomo delle pulizie (a metà paga di un lavoratore normale), vivendo nel ripostiglio di un negoziante greco a cui doveva consegnare una parte dei suoi guadagni.
Il momento di crisi in questa vita sul filo
del rasoio, con la paura costante di essere fermato dalla polizia oppure di
ammalarsi e non poter esibire nessuna tessera sanitaria, è quando viene
ritrovato il cadavere di una donna che Danny conosceva perché andava regolarmente a pulire la sua
casa. La polizia sospetta del marito, ma Danny è stato testimone di troppi
incontri della donna con il suo amante (un indiano giocatore compulsivo che
viveva in un appartamento di proprietà del marito della donna senza pagare un
soldo) per non avere la quasi certezza che sia lui il colpevole. Il dilemma a
questo punto è questo: denunciarlo o no alla polizia? Se lo denuncia, Danny
pronuncia anche la sua propria condanna, perché sarà espulso.
Il tempo dell’azione del romanzo è un giorno, scandito dalle ore e seguendo i passi di Danny per la città, sull’onda dei ricordi della vita passata (l’esperienza negativa di Dubai, seguita da quella ancora peggiore del suo ritorno in Sri Lanka dove era stato torturato dalla polizia per uno scambio di persona) e di quella più recente in Australia dove aveva conosciuto (tramite un sito di incontri per vegani) una ragazza vietnamita. Il vecchio telefono che Danny ha in mano, con la batteria tenuta insieme dal nastro adesivo (non può comprare un i-phone non potendo fornire dati), diventa strumento delle sue paure. In seguito ad una telefonata avventata di Danny, l’amante della donna inizia a perseguitarlo con chiamate cercando di allettarlo ad andare a pulire il suo appartamento. Sono chiamate sempre più minacciose e ricattatorie- Danny conosce il numero da fare per le denunce anonime, ma lui, l’amante, conosce quello per segnalare gli irregolari. Vuole sapere che fine fanno quelli come lui, Danny, quando vengono arrestati per essere rispediti a casa? Molti preferiscono suicidarsi…D’altra parte Danny prova più di una volta, o con il suo telefono o con un telefono pubblico, a chiamare la polizia, per mettere giù la cornetta e non dire niente.
L’attrattiva del romanzo è duplice- nella
denuncia, fatta in maniera sempre ironica e quasi giocosa, della
discriminazione degli immigrati (dei musulmani si ha paura, ecco perché hanno
un trattamento migliore) e delle condizioni di vita lavorando ‘in nero’ (si sa
benissimo, però, che la ricchezza dei bianchi australiani si regge su questi
lavoratori sfruttati in modo ignobile) e nel quesito etico che va oltre alle
circostanze in cui si trova Danny: fino a che punto siamo disposti a mettere a
rischio il nostro benessere in nome dell’onestà e dell’integrità?
Tuttavia il romanzo di Aravind Adiga non
convince, e dobbiamo confessare di esserne rimasti delusi, nonostante le forti
tematiche, dopo aver molto amato “La tigre bianca” con cui Adiga aveva vinto il
Booker Prize 2008 e “L’ultimo uomo nella torre” del 2013. L’inizio è buono,
simpatizziamo con il personaggio, ma la narrazione è spesso ripetitiva
(purtroppo) e non sembra mai prendere il volo.
Nessun commento:
Posta un commento