vento del Nord
romanzo di formazione
cento sfumature di giallo
Levi Henriksen, “Il lungo inverno di Dan Kaspersen”
Ed. Iperborea, trad. A. Berardini,
pagg. 352, Euro 17,50
Sono andata a cercare su Google dove fosse Skogli, la cittadina (poco
più di un paesino, in realtà) dove è ambientato il romanzo “Il lungo inverno di
Dan Kaspersen” di Levi Henriksen. Un puntino segna la posizione, in Norvegia vicino
al confine con la Svezia, il colore verde della mappa deve indicare che è
isolato in mezzo ai boschi. È come immaginavo: leggendo il libro, mi sembrava si
adattasse nordicamente al nostro “Cristo si è fermato a Eboli”, senza sole,
purtroppo, in un paesaggio di neve che fiocca, con temperature che superano i
20 gradi sotto zero e gelano il corpo e l’anima. Un paesaggio di bianca
solitudine che è quella del protagonista, Dan Kaspersen, che ritorna a Skogli
poco prima di Natale: ha lasciato passare alcuni giorni dopo essere uscito di
prigione, dove ha scontato due anni per spaccio di droga, prima di tornare a
casa, dal fratello. Per scoprire che il fratello si è suicidato, senza lasciare
nessun messaggio. E Dan Kaspersen non riesce neppure a restare in chiesa fino
alla fine della cerimonia funebre. Inizia per lui quello che sembra essere un lunghissimo
inverno e invece è il suo tempo interiore che si dilata in un dolore infinito.
Dan e Jakob, sembravano gemelli, anche se uno era bruno e uno biondo,
anche se c’erano due anni di differenza tra di loro. I genitori erano morti in
un incidente e loro due erano sempre
insieme, Jakob adorante nei confronti del fratello maggiore. Jakob era quello a
cui piaceva il ritmo tranquillo della vita di campagna, badare alla fattoria e
all’allevamento di maiali. Dan era quello scalpitante che voleva andarsene da
lì, senza sapere dove o a fare che cosa. E poi era stato incastrato da Kristian
Thrane che gli aveva affidato il ‘lavoretto’ di consegnare della droga. Dan era
finito in prigione- non solo, ormai aveva addosso l’etichetta dello
spacciatore, era nel mirino dell’ispettore del corpo di polizia di Skogli che
aveva un figlio tossicodipendente. Perciò, quando qualcuno irrompe nella casa
dei Thrane e il vecchio nonno di Kristian viene selvaggiamente picchiato, è Dan
che è automaticamente sospettato.
Levi Henriksen ha scritto un
romanzo di cui è difficile definire il genere. Perché è un mix di generi
diversi- e la sua attrattiva è proprio in questo. Uno dei filoni da seguire è
quello dell’indagine poliziesca. È chiaro che Dan è una vittima e possiamo
anche immaginare chi ce l’abbia con lui, chi voglia farlo rinchiudere un’altra
volta. Non è solo il vecchio Thrane ad essere aggredito, lo sarà anche Dan e
scamperà per un soffio alla morte. E il suicidio del fratello? Difficile si
fosse ucciso per una delusione d’amore, era da qualche mese che aveva lasciato
la gemella di Kristian Thrane con cui era fidanzato (Jakob, fidanzato?).
Un’altra narrativa è il filone ‘rosa’- Dan si sente attratto dalla ragazza
madre che cerca di riinserirlo nella vita fuori dalle sbarre, ma non sa se
abbandonarsi a questo sentimento (e se il padre del figlio di lei fosse
Kristian Thrane?).
Soprattutto, però, il romanzo è un’elegia dell’amore fraterno. Dan
ricorda, Dan rimette insieme le memorie del passato, gli tornano in mente episodi
dell’infanzia sua e di Jakob, e perfino la comunità pentecostale guidata da suo
padre appare in una luce velata di nostalgia.
E in questa narrativa, che è
l’autoanalisi di un uomo di trentasette anni che arriva a capire che non si può
fuggire sempre, come sarebbe tentato di fare, ha un ruolo importante il
personaggio dello zio, un uomo che ha perso entrambe le gambe ma non la voglia
di vivere e il senso dell’humour. Un messaggio di positività per tutti.
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