Voci da mondi diversi. Area germanica
seconda guerra mondiale
Annette Hess, “L’interprete”
Ed. Neri Pozza, trad. Chiara Ujka,
pagg. 314, Euro 18,00
Francoforte 1963. Il 20 dicembre inizia il processo- intestato dapprima
come ‘processo Francoforte Auschwitz’ e in seguito come ‘processo contro Mulka
ed altri’- contro 22 criminali nazisti. Il processo Eichmann (tenuto in
Israele) è del 1961. Quello di Norimberga del 1945. L’importanza enorme del
processo di Francoforte sta nel fatto che questo è il primo processo per i
crimini dell’Olocausto davanti ad una corte tedesca: sono passati vent’anni dai
fatti in giudizio, nel 1961 è stato eretto il muro di Berlino- un shock per la
popolazione tedesca che, più che mai, vorrebbe dimenticare, rimuovere il
passato, come non fosse mai successo.
La protagonista del romanzo “L’interprete”
di Annette Hess è Eva Bruhns, poco più che ventenne, l’interprete per
l’appunto, che viene chiamata a tradurre le deposizioni dei testimoni polacchi
in assenza dell’interprete già nominato che non ha avuto il permesso di arrivare
dalla Polonia. Eva si è sempre occupata di testi tecnici, la sua prima prova è,
a dir poco, disastrosa. Non ha la minima idea di che cosa il testimone polacco
stia parlando, non capisce bene il dialetto in cui si esprime. Persone
rinchiuse, dove? Illuminate??? Ma che vuol dire? E’ tentata di rifiutare
l’incarico, poi accetta. Per tanti motivi. Perché qualcosa dentro di lei le
dice che deve sapere, forse anche perché è come il frutto proibito: sia i
genitori, sia il fidanzato Jürgen sono decisamente contrari, anche se per diversi
motivi. I coniugi Bruhns gestiscono una trattoria, la Deutsches Haus (che è il titolo originale del romanzo), e ben
presto capiamo- da occhiate che si scambiano, da mezze parole (‘dobbiamo
dirglielo?’)- che loro devono aver vissuto in prima persona gli eventi di cui
si parla in tribunale, che sanno cose che hanno tenuto nascoste e di cui non
vogliono parlare.
E non sono gli unici. Perfino gli imputati si trincerano
dietro i ‘non sapevo, non ho visto nulla, io non c’ero, il testimone ricorda
male’. Annette Hess sceglie di dare un nome alle vittime e ai testimoni, chiama
invece gli imputati con dei soprannomi che li definiscono- la Bestia, il
chimico, l’infermiere, l’uomo con il profilo da becco d’aquila-, come non
fossero degni di un nome e poi sono accomunati dai loro crimini, non hanno la
singolarità del dolore delle loro vittime che hanno firmato con il sangue le
assi delle baracche di Auschwitz.
Fritz Bauer, pubblico ministero |
E’ una sorta di duplice processo, quello di Francoforte 1963. Contro i
criminali nazisti e contro il processo di rimozione collettiva della colpa.
Contro chi ha commesso i crimini in prima persona e chi è rimasto a guardare,
contro chi minimizza e chi vuol dimenticare. Contro un altro muro, diverso da
quello di Berlino. Il muro del silenzio.
E allora il romanzo di Annette Hess (non perfetto, alcuni punti vorremmo
fossero più approfonditi) si fa complesso e terribilmente doloroso. Per alcuni
testimoni il peso della rievocazione è insopportabile (uno di loro si è
aggrappato alla vita fino al giorno in cui ha deposto testimonianza, poi
basta), un giovane procuratore ebreo-canadese si inventa un passato non suo e crolla
sotto il senso di colpa per non aver condiviso la sorte degli ebrei di Europa,
mentre Eva Bruhns (è un caso che i genitori le abbiano dato il nome della donna
che fu l’amante e poi la moglie di Hitler?) si riappropria del suo, di passato-
e, per quello che la riguarda, questo diventa un romanzo di formazione
particolarmente duro perché passa non attraverso una morte ma milioni di morti.
I ricordi vaghi che balenavano ad intermittenza nella mente di Eva si fanno più
precisi, ricordi di una bimbetta che viveva in una casa con il tetto a punta ed
era stata scottata dal ferro per capelli troppo caldo di un parrucchiere che
aveva un numero tatuato sul braccio. Il silenzio in casa le diventa
insopportabile, il negazionismo e il bigottismo del fidanzato pure. Le colpe
dei padri ricadono sui figli? Tocca ai figli espiarle? Tocca a loro il fardello
del dolore della colpa se altri non se ne fanno carico?
Bello il finale a Varsavia su cui riflettere. Bello un romanzo che ci
chiede di non dimenticare.
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a breve seguirà l'intervista ad Annette Hess
recensione e intervista saranno pubblicate su www.stradanove.it
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