Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
Shoah
Bart van Es, “La ragazza cancellata”
Ed. Guanda, trad. E. Banfi, pagg.
266, Euro 15,72
“Senza le famiglie non ci sarebbero storie”- l’inizio de “La ragazza
cancellata” di Bart van Es sembra una variante, anzi un’aggiunta al famoso
incipit di Tolstoj. E’ per ricostruire la storia della sua famiglia, che
coinvolge inevitabilmente quella di un’altra famiglia, che nel 2014 Bart van
Es, professore all’università di Oxford, va ad Amsterdam ad incontrare Lien de
Jong. C’era stato un tempo in cui Lien aveva fatto parte della famiglia van Es,
il padre di Bart, nato dopo la guerra, era cresciuto con lei. Quale era stata
la causa della rottura per cui il nome di Lien non doveva neppure essere pronunciato
davanti alla nonna van Es? Lien ormai ha superato l’ottantina, dapprima è
riluttante a scavare nel passato- ha già sofferto tanto per questo passato che
riaffiora di continuo, che l’ha segnata per la vita. Poi tira fuori album di
fotografie, incomincia a raccontare, Bart prende appunti e la confidenza che
nasce tra di loro fa nascere la loro amicizia.
Prima che Hitler occupasse l’Olanda, Lien neppure sapeva di essere
ebrea. E fino al 1941 la vita nella casa di famiglia all’Aja fu normale. Poi le
restrizioni, la proibizione di frequentare la scuola, la stella gialla
sull’abito. Infine, nel 1942, quando Lien ha otto anni, l’allontanamento dalla
famiglia, lo strappo più doloroso, il ‘segreto’ che la mamma le aveva fatto
promettere di non rivelare a nessuno. Lien avrebbe vissuto con i van Es a
Dordrecht, sarebbe stata come una figlia in più per loro.
Bart van Es ascolta il racconto di Lien, si cala nei suoi ricordi
sfilacciati e cerca di aiutarla a ricostruirli, guarda vecchie fotografie (le
possiamo vedere anche noi sul libro), legge le espressioni dei visi, osserva
gli abiti, nota i segni della crescita di Lien. Bart van Es non si limita a
parlare con l’anziana Lien, vuole vedere di persona dove si siano svolte le
scene che lei gli ha descritto. Perché Lien non ha resistito, ha rivelato il
suo ‘segreto’ ad un’amichetta e deve essere spostata presso un’altra famiglia.
E ci saranno altri spostamenti, altri nascondigli e fughe. Con il passare del
tempo sbiadisce il ricordo dei genitori. Forse è una forma di difesa naturale,
dentro di sé Lien sa che, se non hanno più scritto, devono essere morti, ma non
vuole pensarci. Come deve sentirsi una bambina di nove, dieci, undici anni che
è sballottata da una casa all’altra, accolta da persone generose che però a
volte le fanno pesare la sua diversità, il suo non essere una ‘figlia’ come gli
altri che hanno? In una delle famiglie viene trattata come una domestica, con
una certa durezza. Per non dire di altre brutte esperienze da cui lei è
incapace di difendersi.
E’ straordinario come, quando sembra che non ci sia più niente di nuovo
da dire e da scoprire su una guerra i cui testimoni stanno a poco a poco
scomparendo, si possa invece leggere qualcosa di nuovo. Il libro di Bart van Es
non è soltanto la storia di una bambina sopravvissuta, una storia che accogliamo
con gioia perché ci sembra la controparte di quella di Anna Frank, ma anche la
storia meno conosciuta dell’Olanda, il paese con la percentuale più alta di
ebrei morti sotto il nazismo (80%). Lo stile è vivace, alternando le voci
narranti, ricreando luoghi e tempi, mostrandoci fotografie, seguendo le vicende
di Lien fino ai nostri giorni, con il matrimonio, i figli e una vita in
apparenza felice. In apparenza. Perché ci sono dei traumi impossibili da
dimenticare.
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Bart van Es con Lien de Jong |
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