Voci da mondi diversi. Area germanica
satira
cento sfumature di giallo
Robert Menasse, “La capitale”
Ed. Sellerio, trad. M. Pugliano e
V. Tortelli, pagg. 452, Euro 16,00
C’è un personaggio singolare che campeggia
e ci resta in mente a fine lettura de “La capitale”, il romanzo con cui lo
scrittore austriaco Robert Menasse ha vinto il Deutcher Buchpreis 2017. E’ un
maiale. Sfreccia attraverso una piazza di Bruxelles nelle prime pagine, mentre
chi lo ha visto si chiede se ha avuto un’allucinazione, ricompare ogni tanto in
altri luoghi della capitale, diventa protagonista di articoli di giornali e di
una sorta di concorso indetto per dargli un nome- il concorso verrà accantonato
quando il nome più gettonato è Muhammad. E il maiale (Muhammad?) diventa una
metafora quasi quanto lo scarafaggio kafkiano- pensiamo a di che cosa si nutre
un maiale e, leggendo delle discussioni all’interno della Comunità Europea, il
raffronto è inevitabile.
Maiale a parte, tralasciando l’altra
immagine di animali fornita dal soprannome di ‘salamandre’ date agli ucraini,
non c’è un solo protagonista ( e non potrebbe essercene uno solo, in un romanzo
in cui si parla della Unione Europea) ne “La capitale”. Questo è un romanzo
corale con tante storie personali che si collegano- a volte labilmente- al tema
centrale: dare un nuovo impulso agli ideali della Comunità Europea. L’idea
viene ad uno dei membri della Comunità durante un viaggio di rappresentanza ad
Auschwitz- sembra un paradosso ma, se alla base della Comunità c’era stato
quell’intento, ‘mai più Auschwitz’ per superare i nazionalismi e il razzismo, perché
non fare di Auschwitz la capitale dell’Unione Europea? Perché non costruire ad
Auschwitz una città interamente nuova, come era stato fatto per Brasilia?
L’ironia è la cifra stilistica di Robert
Menasse, un’ironia sferzante che colpisce tutti i personaggi mentre le varie
trame che li vedono protagonisti mettono in luce come l’unione si stia
disgregando, come gli accordi bilaterali stiano tornando a prendere il
sopravvento- lo dimostra la sottotrama che riguarda gli interessi cinesi
nell’acquistare le orecchie di maiale (da noi sono uno scarto- e gli ungheresi
ruberanno il mercato agli austriaci) mentre, nello stesso tempo, gli allevatori
di maiali sono obbligati a ridurre il numero delle bestie all’ingrasso-, come i
rappresentanti siano scarsamente motivati (nessuno vuole essere al dipartimento
della Cultura perché è irrilevante) e in rivalità fra di loro.
Solamente i
pochi personaggi che non appartengono alla cerchia della Comunità sono diversi-
il cocciuto ispettore di polizia a cui
viene intimato di non proseguire le ricerche sul delitto all’Hotel Atlas (che
cosa c’è dietro? la Nato? il Vaticano?), il politologo che sembra il superstite
di un tempo scomparso e l’anziano David de Vriend, uno degli ultimi
sopravvissuti di Auschwitz che sia ancora in vita. Scomparirà la memoria con la
morte di David de Vriend? Già ora una bambina gli si avvicina per mostrargli
che anche lei ha un tatuaggio sul braccio, è finto ma da grande se ne farà uno
vero. Che senso avrà ‘mai più Auschwitz’ nel futuro?
Intelligente, caustico, insolito. Un libro
del nostro tempo.
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