Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
la Storia nel romanzo
il libro ritrovato
Kamila Shamsie, “Ombre bruciate”
Ed. Ponte alle Grazie, trad.
Guido Calza, pagg. 386, Euro 18,60
Titolo originale: Burnt Shadows
Hiroko esce in veranda. Dal collo
in giù il suo corpo è una colonna di seta bianca, con tre gru nere che si
slanciano da una parte all’altra della schiena. Guarda le montagne e tutto le
sembra più bello rispetto a com’era di prima mattina. Nagasaki le sembra
bellissima. Volta il capo e vede le guglie della cattedrale di Urakami; anche
Konrad la sta guardando, quando uno squarcio si apre tra le nuvole. La luce del
sole lo attraversa, e spinge ancor più lontano le nubi.
Hiroko.
E poi il mondo diventa bianco.
E poi il mondo diventa bianco:
il 9 agosto 1945, quando gli americani sganciarono la seconda bomba su
Nagasaki, del giovane tedesco Konrad Weiss rimase solo un’ombra su una roccia,
quasi il negativo di una pellicola. Quella mattina la ventunenne Hiroko Tanaka
aveva indossato un kimono di seta con delle gru nere dipinte sulla schiena:
“schiena d’uccello”, la descriverà con amore l’indiano Sajjad Ashraf che la
sposerà anni dopo. Perché la pelle ustionata della schiena di Hiroko aveva
proprio la forma delle gru. Se Hiroko avesse insistito, se avesse ripetuto
“Rimani” una terza e quarta volta a Konrad, che le aveva appena dichiarato il
suo amore, Konrad si sarebbe salvato. Così, invece, Hiroko aveva seppellito nel
cimitero la roccia su cui credeva di riconoscere l’impronta dell’amato.
“Ombre bruciate”, il nuovo romanzo di
Kamila Shamsie, inizia a Nagasaki quella
mattina in cui “il mondo era ignaro” (come dice il titolo del primo capitolo) e
termina nel 2001-2002, tra l’Afghanistan e New York. C’è un prologo brevissimo,
tuttavia, che torneremo a rileggere a lettura terminata. Un uomo viene portato
in una cella, lo fanno spogliare, sa che gli daranno una tuta arancione. E si
chiede: Come siamo arrivati a questo?
Il romanzo di Kamila Shamsie non
è un romanzo a tesi, eppure quella domanda dell’uomo che non sappiamo ancora
chi sia ci perseguita per tutta la lettura, contrassegnandola di indizi, come
se gli eventi, uno infilato sull’altro, portassero inesorabili a quella fine.
“Ombre bruciate” è la storia di due famiglie unite dal destino, o dalle
affinità- i Weiss-Burton e i Tanaka-Ashraf- e dal Giappone la scena si sposta
in India e poi in Pakistan, in Afghanistan e a New York.
Dopo- e ‘dopo’ per Hiroko
significherà per sempre dopo la bomba, dopo che Konrad era diventato un’ombra,
dopo che Hiroko non aveva riconosciuto il proprio padre, trasformatosi in un
serpente squamoso che strisciava, dopo essere stata curata- Hiroko aveva fatto
da interprete per gli americani, a Tokyo. Fino al giorno in cui un americano
aveva detto che la seconda bomba era necessaria per evitare altre morti americane. Hiroko era partita per Delhi,
con l’indirizzo della sconosciuta sorella di Konrad- sarebbero diventate
amiche, lo sarebbero state per tutta la vita. Anche dopo che Hiroko avrebbe
sposato l’indiano Sajjad, andando con lui a Karachi in seguito alla
Spartizione. E da Hiroko e Sajjad sarebbe nato Raza, il miracolo vivente che
non recava traccia di conseguenze delle radiazioni, il ragazzo che- con il suo
miscuglio di tratti somatici- si sarebbe sentito estraneo in entrambi i mondi
dei genitori.
Era un quadro necessario da fare,
questo, perché le due famiglie sono un microcosmo in cui l’amore supera le
barriere e la propensione linguistica che accomuna Konrad a Hiroko, ereditata
da Raza (Voglio parole in tutte le lingue,
dice Raza ad un certo punto) e dal nipote di Konrad, è lo strumento più forte
per la comprensione di chi appartiene a culture diverse, è il lasciapassare per
altri mondi.
Dal fungo atomico di Nagasaki, per
evitare altre morti americane, all’11 settembre a New York: dai
settantacinquemila morti civili giapponesi ai tremila deceduti nel crollo delle Torri
Gemelle.
Nel mezzo, altre guerre, altre morti, altre tragedie- e nel libro
leggiamo solo di quelle che toccano da vicino i personaggi: la fine dell’Impero
britannico e i disordini che hanno preceduto
Sono passati dieci anni da “Sale e
zafferano”, il primo romanzo di Kamila Shamsie. E si vede, si sente nella
maturità tematica ed espressiva della scrittrice. Scrivere un romanzo così
vasto come “Ombre bruciate” poteva sembrare ambizioso, c’era il rischio di
rallentare la scrittura, di eccedere nel dettaglio, di perdersi
nell’insignificante. Non è così. Kamila Shamsie procede per salti temporali,
cogliendo l’essenziale e, nello stesso tempo, arricchendo l’ordito del romanzo
con un sottotesto di riferimenti letterari che gli danno colore e spessore. C’è
E.M.Forster nel suo libro: anche per “Ombre bruciate” potrebbe servire
l’epigrafe “Only connect” che è così importante per i romanzi dell’inglese; la
gita di Hiroko, Sajjad e i Burton al Qutb Minar ricorda quella alle Malabar
Hills in “Passaggio in India”, anche se il presunto assalto sessuale che accade
alle Malabar Hills, con tutto quello che ne consegue, viene spostato più avanti
(e modificato, naturalmente) nel libro della Shamsie. C’è Kipling con il suo
romantico rimpianto per l’India del Raj, che è lo stesso di Henry Burton che
aveva imparato l’urdu da Sajjad e che chiamerà sua figlia Kim; c’è Anita Desai
e c’è Kiram Desai, perché anche questo è un libro sulla perdita.
E’ anche un
libro sulla lealtà e sul tradimento, sul coraggio di cambiare quando ci si
accorge che ci fa orrore quello che siamo diventati. E comprendiamo che la fine
di tutto non poteva essere altrimenti. Come
siamo arrivati a questo?- e la domanda non è più soltanto quella dell’uomo
che ormai sappiamo chi è e sappiamo che è a Guantanamo, ma di tutti noi, dei
capi di governo, delle nazioni intere.
Qutb Minar- Delhi |
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
a breve la recensione di "Io sono il nemico", il nuovo romanzo di Kamila Shamsie
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