Casa Nostra. Qui Italia
seconda guerra mondiale
Lia Levi, “Questa
sera è già domani”
Ed. e/o, pagg. 224, Euro 16,50
Genova, inizio degli anni ‘30. Alessandro
Rimon (un cognome che in ebraico significa ‘melograno’, il frutto che con i
suoi 613 semi purpurei simboleggia le 613 perle di saggezza contenute nella
Torah) è un bambino prodigio. Ha imparato a leggere da solo a neppure cinque
anni, inizia la scuola quasi due anni prima dei suoi coetanei (grazie ad una
legge recentissima approvata per permettere a Romano Mussolini, il figlio
minore del Duce, di frequentare la prima elementare in anticipo)- sua madre
scoppia di orgoglio. Lui, però, Alessandro, si troverà sempre a disagio,
schernito dai compagni di classe, senza amici. Finché, terminato il ciclo delle
elementari, incontra le prime difficoltà e rientra nella normalità, addirittura
ha bisogno di lezioni private, con delusione della madre.
Inizia così “Questa sera è già domani” di
Lia Levi, un bel romanzo di formazione che è anche storia di una famiglia
ebraica in Italia negli anni cruciali delle leggi razziali e della guerra. Il
punto di vista è quello di Alessandro, dapprima bambino, poi adolescente e
giovanissimo adulto che cerca di unirsi ai partigiani dopo l’armistizio. Un
bambino che neppure sa che cosa voglia dire essere ebreo- né la famiglia del
padre (un intagliatore di diamanti di origine olandese ma con passaporto
inglese), né quella del madre (il nonno Levi si gloriava di essere stato un
ferroviere al servizio dello Stato italiano) erano praticanti. Solo una
catenina d’oro con una stella di Davide che gli aveva lasciato la nonna lo
collegava alle sue origini. E, dopo che era sembrato un capriccio infantile,
una follia, portare con sé nella fuga quella catenina che avrebbe potuto
smascherarli, contro ogni ragionevole previsione era stato proprio quel simbolo
di appartenenza a salvarli.
Appartenenza: forse il significato di tutte
le traversie dei Rimon e degli altri ebrei italiani di loro conoscenza era
contenuto proprio in questa parola. Lo aveva sottolineato il rabbino- nelle
loro sofferenze, nel dover sottostare alle odiose leggi razziali, gli ebrei
avevano ritrovato la loro identità.
Era stata, dapprima, una ben magra
consolazione per un ragazzo che aveva dovuto lasciare la scuola, che aveva poi
anche seguito la famiglia al confino quando il passaporto inglese del padre
aveva aggiunto altre difficoltà all’essere ebrei. Eppure, quanto più lieve era
sembrata la sorte dei Rimon quando Alessandro aveva sollecitato e ascoltato i
racconti della sorella maggiore del ragazzino olandese che la sua famiglia
aveva accolto come ospite. Erano storie di violenza e di soprusi che
contenevano una minaccia oscura a cui nessuno voleva credere. Perché questo era
quello che tutti gli ebrei italiani si dicevano- no, in Italia non sarebbe mai
successo niente di grave, era una bufera che sarebbe passata, in Italia c’era
il Vaticano e poi gli italiani erano buoni. Ma non si erano detti le stesse
cose anche gli ebrei tedeschi che pensavano di essere perfettamente assimilati?
In uno stile piano, senza sussulti, Lia
Levi, ispirandosi alle vere traversie di suo marito, ci racconta le vicende di
una famiglia che ci ricorda i Finzi Contini del romanzo di Bassani, che non si
erano mai ‘pensati’ ebrei, e perciò diversi, finché le leggi che si erano
accavallate l’una sull’altra limitando sempre più la loro libertà non li
avevano definiti tali. Fino all’ultima fuga, all’ultima beffa, all’ultima
speranza. E’ proprio la perfetta aderenza di stile quotidiano ad una vita
quotidiana che mette in risalto quello che è fuori dall’ordinario in ciò che
succede. Si crea una sorta di dissonanza che ci inquieta, ci insospettisce, ci
fa temere il peggio. Che puntualmente arriverà.
“Questa sera è già domani”- bel titolo che ci
fa pensare al benvenuto allo Shabbat nella sera del venerdì e, insieme e su
scala più ampia, ad un tempo che anticipa quello che seguirà- è uno dei libri
della cinquina selezionati per il premio Strega 2018.
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