sabato 27 agosto 2016

Mariolina Venezia, “Mille anni che sto qui” ed. 2006

                                             Casa Nostra. Qui Italia
                  saga
               il libro ritrovato

Mariolina Venezia, “Mille anni che sto qui”
Ed. Einaudi, pagg. 244, Euro 15,00    


     “Mi pare mille anni che sto qui”, dice la vecchia nonna Candida nelle ultime pagine del libro. Non sono mille, neppure cento, gli anni della sua vita e sono quasi 150 quelli ricoperti dall’intera saga famigliare del romanzo di Mariolina Venezia, eppure scorrono ad un ritmo così lento che si allungano fino a sembrare mille. E forse non è neppure vero che gli anni passino lentamente, piuttosto che, se il tempo è come un fiume, nel paese di Grottole, in Lucania, il tempo ristagna in una pozza d’acqua ferma. Quanto accade è ripetitivo, sembra che nulla cambi mai a Grottole, in centocinquanta anni.

      Candida, nipote di Concetta, figlia di Albina, madre di Alba, nonna di Gioia: sono donne le vere protagoniste del romanzo. Eppure ci sono tanti uomini nella famiglia Falcone e questa è una società maschilista in cui l’uomo è quello che conta. Don Francesco si decide a sposare la contadina amante Concetta quando nasce il primo figlio maschio dopo sei femmine (per ironia della sorte il piccolo tiranno, diventato adulto, amerà farsi fotografare vestito da donna); per Candida esistono solo i sei figli maschi e poco le importa di Alba; sono gli uomini, il fratello di Alba e Rocco che diventerà suo marito, che vanno al Nord e si lasciano coinvolgere nel movimento comunista. Ma le donne regnano in queste pagine piene di storie, di amori e dolori, che iniziano con l’unità d’Italia e terminano con la caduta del muro di Berlino. Forse perché sono le donne che hanno la capacità di raccontare le storie, come se ricamassero una tela, per tramandarle. Storie di ricchi e di poveri in Lucania, e i ricchi non sono più colti o diversi dai poveri, ma hanno le terre. E non lavorano, quello tocca ai cafoni. E’ come un’isola, Grottole. Per i grottolesi “la Merica” e “l’altitalia” sono ugualmente lontane, ugualmente favoleggiate, luoghi in cui si fanno i soldi ma si soffre di freddo e di solitudine. E poi luoghi, entrambi, in cui si parla un’altra lingua.
    Mariolina Venezia procede con brio nel tessere le sue storie, con uno stile che mescola realismo e poesia con un pizzico di “realismo magico”- come nella scena delle giare d’olio infrante dalle urla di Concetta che sta partorendo il figlio maschio, o la faccenda dei barili di ducati murati in casa che riappaiono quando non hanno più valore.

    Quando il racconto delle storie di famiglia si sposta in un tempo più vicino al nostro, si prova una sensazione di sfasamento, quasi un capogiro: il fiume del tempo è in piena ma i grottolesi restano fermi a vederlo scorrere e non riescono neppure a vedere i contorni di quello che le acque trascinano con sé. E’ Gioia, che all’inizio traccia un infantile albero genealogico per la nonna Candida che non ricorda più i nomi, ad essere travolta dal fiume in piena. Abbandonando la famiglia per seguire i figli dei fiori, restando implicata in trame pericolose, espatriando infine a Parigi da dove la riporteranno a casa i genitori, per curarla.

    Guardando dal finestrino del treno, Gioia osserva che qualcosa è cambiato in Lucania, dopotutto, e non in meglio. Non c’è più la campagna a perdita d’occhio, c’è sempre qualcosa contro cui la vista si ferma, una casamatta, un pilone, un cartellone pubblicitario. E Gioia ne celebra la perdita con “un funerale senza lacrime”. 

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


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