mercoledì 12 agosto 2015

Simon Mawer, “La casa di vetro” ed. 2009

                                  Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
                il libro ritrovato


Simon Mawer, “La casa di vetro”
Ed. Neri Pozza, trad. Massimo Ortelio, pagg. 448, Euro18,00

Titolo originale: The Glass Room

Nella stanza di vetro venne finalmente installata la parete d’onice dalle venature ambrate e color miele, simili ai contorni di un paesaggio remoto, preistorico. Levigata e lucida come uno specchio, la pietra pareva catturare la luce, assorbendola per poi rilasciarla, arricchita però da una sfumatura calda e morbida, femminile. Quando il sole tramontava sullo Špilas, i suoi raggi incendiavano la pietra traslucida dandole accesi riflessi di fuoco.


   Ci sono delle case che vivono nei libri, che respirano nelle pagine, che ci raccontano la loro storia, vivida quanto quelle dei personaggi che si aggirano tra le loro mura. C’è una casa su una lieve collina che fronteggia Brno, in quella che ora è la Repubblica Ceca, che è la protagonista del romanzo “La casa di vetro” di Simon Mawer: lo scrittore ha cambiato il nome dei proprietari e quello dell’architetto che l’ha progettata, la sua immaginazione ha creato il mondo dei sentimenti e dei legami famigliari dei personaggi, ma la descrizione della casa, le vicende connesse con la sua costruzione e poi con il suo abbandono e il suo passaggio di mano in mano fino a quando, nel 2002, la villa è stata iscritta nella lista degli edifici e dei luoghi che sono Patrimonio dell’Umanità- quello è tutto vero. Ed è una storia che tiene avvinti, dall’inizio alla fine.

    Nel 1929 Viktor e Liesel Landauer, giovani sposi, affidano all’architetto tedesco von Abt la costruzione della loro casa. Nella realtà il cognome della giovane coppia è Tugendhat, il nome dell’architetto è Mies van der Rohe e la casa si chiama tuttora Villa Tugendhat. Viktor Landauer è il proprietario di un’industria automobilistica (i Tugendhat avevano una fabbrica tessile), non mette limiti alla spesa della progettazione. Quando Landauer Haus viene inaugurata, nel 1930, molti sono perplessi tanta è la differenza tra lo stile modernista, semplicissimo e lineare, di von Abt/van der Rohe e l’abbondanza di ornamenti e linee curve che prevalgono all’epoca. Landauer Haus è una casa di luce che vive in sintonia con la natura in cui è immersa, che è pensata per far sì che la vista sulla città sia il più bel quadro non dipinto sulle sue pareti. Con una stanza- che non è propriamente una stanza, piuttosto uno spazio (raum in tedesco)- delimitata da un’enorme parete di vetro a scomparsa dentro il pavimento. Si resta senza fiato, quando ci si affaccia sulla Glasraum. Quando i raggi del sole al tramonto traggono bagliori dalla parete di onice (è costata quello che può essere il prezzo di un’abitazione monofamigliare, ma ha un prezzo la bellezza?).

    La vita dei Landauer nella casa di vetro scorre tranquilla, nascono due figli, vengono amici in visita, Liesel ha un’amica del cuore, un po’ troppo spregiudicata perché sia simpatica a Viktor, una ragazza si offre a Viktor una sera al Prater, mentre lui è in viaggio di affari, Viktor la rivedrà regolarmente…Finché tutto finisce, nel 1938, quando Viktor- e qui la finzione narrativa ridiventa la realtà di quanto accadde- comprende la gravità della minaccia del nazismo e ha il coraggio e la possibilità di fare quello che altri, ebrei come lui, si illusero non fosse necessario fare: si trasferisce con la famiglia prima in Svizzera e poi in America. 
    Come si seguono le vicende dei personaggi, così, con ansia, pena e rammarico, il lettore segue quelle della splendida casa, tremando per la sua sorte. E ne ha ben donde. Affidata ad un guardiano che ha sempre invidiato i proprietari, viene requisita dalle SS (nel romanzo è adibita a locali di ricerche scientifiche sulle razze), le bombe mandano in frantumi la vetrata della Glasraum, si parlerà addirittura di demolirla, verrà infine adibita a palestra per ginnastica fisioterapica. Ci viene in mente il declino della casa in cui si aggirava la Mrs. Ramsay di Virginia Woolf, tra il tempo in cui era piena di vita e quello in cui la gita al faro a lungo programmata viene poi fatta. O Casa Howard (nel romanzo di Forster) che tace a lungo dopo la morte della sua proprietaria. O Darlington Hall le cui mura hanno visto le berline nere che trasportavano gli ospiti tedeschi e poi il ricco proprietario americano (“Quel che resta del giorno” di Kazuo Ishiguro). O Tara, ferita a morte dalla guerra civile e riportata allo splendore da Scarlett O’Hara.


    Anche Villa Tagendhat/ Landauer Haus sta risorgendo, i restauri sono tuttora in corso. Nel romanzo l’ormai anziana Liesel ritorna, su invito del governo ceco: non si parla di restituzione, ma lei vuole rivedere la casa che ha amato. Con gli occhi della mente, perché ha perso la vista. Ma il cuore non ha dimenticato, i suoi piedi contano il numero degli scalini, la svolta, gli altri scalini prima di fermarsi davanti allo spettacolo di luce della Glasraum.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


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