Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
il libro ritrovato
Simon Mawer, “La casa di vetro”
Ed. Neri Pozza, trad. Massimo
Ortelio, pagg. 448, Euro18,00
Titolo originale: The Glass Room
Nella stanza di vetro venne finalmente
installata la parete d’onice dalle venature ambrate e color miele, simili ai
contorni di un paesaggio remoto, preistorico. Levigata e lucida come uno
specchio, la pietra pareva catturare la luce, assorbendola per poi rilasciarla,
arricchita però da una sfumatura calda e morbida, femminile. Quando il sole
tramontava sullo Špilas, i suoi raggi incendiavano la pietra traslucida dandole
accesi riflessi di fuoco.
Ci sono delle case che vivono nei libri, che respirano nelle pagine, che
ci raccontano la loro storia, vivida quanto quelle dei personaggi che si
aggirano tra le loro mura. C’è una casa su una lieve collina che fronteggia
Brno, in quella che ora è la Repubblica Ceca ,
che è la protagonista del romanzo “La casa di vetro” di Simon Mawer: lo
scrittore ha cambiato il nome dei proprietari e quello dell’architetto che l’ha
progettata, la sua immaginazione ha creato il mondo dei sentimenti e dei legami
famigliari dei personaggi, ma la descrizione della casa, le vicende connesse
con la sua costruzione e poi con il suo abbandono e il suo passaggio di mano in
mano fino a quando, nel 2002, la villa è stata iscritta nella lista degli
edifici e dei luoghi che sono Patrimonio dell’Umanità- quello è tutto vero. Ed
è una storia che tiene avvinti, dall’inizio alla fine.
Nel 1929 Viktor e Liesel Landauer, giovani
sposi, affidano all’architetto tedesco von Abt la costruzione della loro casa.
Nella realtà il cognome della giovane coppia è Tugendhat, il nome
dell’architetto è Mies van der Rohe e la casa si chiama tuttora Villa
Tugendhat. Viktor Landauer è il proprietario di un’industria automobilistica (i
Tugendhat avevano una fabbrica tessile), non mette limiti alla spesa della
progettazione. Quando Landauer Haus
viene inaugurata, nel 1930, molti sono perplessi tanta è la differenza tra lo
stile modernista, semplicissimo e lineare, di von Abt/van der Rohe e l’abbondanza
di ornamenti e linee curve che prevalgono all’epoca. Landauer Haus è una casa di luce che vive in sintonia con la natura
in cui è immersa, che è pensata per far sì che la vista sulla città sia il più
bel quadro non dipinto sulle sue pareti. Con una stanza- che non è propriamente
una stanza, piuttosto uno spazio (raum
in tedesco)- delimitata da un’enorme parete di vetro a scomparsa dentro il
pavimento. Si resta senza fiato, quando ci si affaccia sulla Glasraum. Quando i raggi del sole al
tramonto traggono bagliori dalla parete di onice (è costata quello che può
essere il prezzo di un’abitazione monofamigliare, ma ha un prezzo la
bellezza?).
La vita dei Landauer nella casa di vetro
scorre tranquilla, nascono due figli, vengono amici in visita, Liesel ha
un’amica del cuore, un po’ troppo spregiudicata perché sia simpatica a Viktor, una
ragazza si offre a Viktor una sera al Prater, mentre lui è in viaggio di
affari, Viktor la rivedrà regolarmente…Finché tutto finisce, nel 1938, quando
Viktor- e qui la finzione narrativa ridiventa la realtà di quanto accadde-
comprende la gravità della minaccia del nazismo e ha il coraggio e la
possibilità di fare quello che altri, ebrei come lui, si illusero non fosse
necessario fare: si trasferisce con la famiglia prima in Svizzera e poi in
America.
Come si seguono le vicende dei personaggi,
così, con ansia, pena e rammarico, il lettore segue quelle della splendida
casa, tremando per la sua sorte. E ne ha ben donde. Affidata ad un guardiano
che ha sempre invidiato i proprietari, viene requisita dalle SS (nel romanzo è
adibita a locali di ricerche scientifiche sulle razze), le bombe mandano in
frantumi la vetrata della Glasraum,
si parlerà addirittura di demolirla, verrà infine adibita a palestra per
ginnastica fisioterapica. Ci viene in mente il declino della casa in cui si
aggirava la Mrs. Ramsay
di Virginia Woolf, tra il tempo in cui era piena di vita e quello in cui la
gita al faro a lungo programmata viene poi fatta. O Casa Howard (nel romanzo di
Forster) che tace a lungo dopo la morte della sua proprietaria. O Darlington
Hall le cui mura hanno visto le berline nere che trasportavano gli ospiti
tedeschi e poi il ricco proprietario americano (“Quel che resta del giorno” di
Kazuo Ishiguro). O Tara, ferita a morte dalla guerra civile e riportata allo
splendore da Scarlett O’Hara.
Anche Villa Tagendhat/ Landauer Haus sta risorgendo, i restauri sono tuttora in corso. Nel
romanzo l’ormai anziana Liesel ritorna, su invito del governo ceco: non si
parla di restituzione, ma lei vuole rivedere la casa che ha amato. Con gli
occhi della mente, perché ha perso la vista. Ma il cuore non ha dimenticato, i
suoi piedi contano il numero degli scalini, la svolta, gli altri scalini prima
di fermarsi davanti allo spettacolo di luce della Glasraum.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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