giovedì 8 maggio 2025

Jeremias Gotthelf, “Il ragno nero” ed. 1996

                                                                  Off the main road

Voci da mondi diversi. Svizzera

Jeremias Gotthelf, “Il ragno nero”

Ed. Adelphi (1996), trad. M. Mila, pagg. 184, Euro 13,30

 

    Era un pastore svizzero, Jeremias Gotthelf- un bellissimo cognome che si era scelto come pseudonimo, aiuto di Dio, e che ben si adattava al suo compito di pastore di anime. Il vero nome era Albert Bitzius, nato nel 1797 e morto nel 1854. Ci viene quasi un capogiro nel leggere queste date e rivolgere l’occhio all’abisso del tempo, perché poi, leggendo il suo racconto lungo “Il ragno nero”, ci stupiamo invece di quanto sia attuale, di quale monito sempre valido contenga.

    L’inizio è idilliaco- una festa di paese per un battesimo. Una natura verdeggiante, un villaggio incastonato tra le montagne, gente vestita a festa, si mangia e si beve in onore del nuovo bambino accolto nella comunità dei fedeli. Poi qualcuno fa un’osservazione sul legno scuro di una finestra, diversa da tutte le altre, e il nonno, una sorta di memoria storica, incomincia il suo racconto.

   La vita nel villaggio non è sempre stata così serena. C’era un castello sulla collina, c’era un cavaliere che spadroneggiava sui contadini. Dopo gli sforzi che questi avevano fatto per costruirgli il castello, il cavaliere non era soddisfatto. C’era troppo sole sulla salita per arrivare all’ingresso, avrebbero dovuto piantare- in breve tempo- un numero di betulle che fiancheggiassero la strada, facendo ombra. I contadini erano sgomenti. Se obbedivano avrebbero dovuto trascurare i campi e di che cosa si sarebbero nutriti? Ed ecco che arriva un cacciatore vestito di verde con una piuma rossa sul cappello, una barbetta rossa su un viso scuro, un naso ad uncino e un mento appuntito. Si dichiara pronto ad aiutarli a trasportare i tronchi con il suo carretto, il lavoro sarà finito a tempo. Si accontenterà di poco come ricompensa- un bambino non battezzato.


    È il tema eterno, ricorrente in tutte le culture, tra mito e leggenda, della lotta tra l’uomo e il diavolo, delle tentazioni a cui l’uomo è sottoposto da parte del diavolo che vuole impossessarsi della sua anima, ad iniziare dai Testi Sacri fino al dramma di Marlowe e al romanzo di Thomas Mann. È la lotta tra il Bene e il Male, una lotta senza quartiere.

   Nel racconto di Gotthelf i contadini si ritraggono inorriditi, poi una donna (ecco un’altra figura femminile che si accorda alla tradizione per suggerire l’astuzia ingannatrice) propone di accettare l’aiuto e di lasciare scornato poi il cacciatore verde al momento della consegna. Ma è così facile imbrogliare l’omino verde alias il diavolo? Anzi, le conseguenze sono terribili. Fa la sua comparsa il ragno nero a cui non si sfugge- la scelta stessa di aver rappresentato il Male sotto l’aspetto di un ragno dalle molteplici zampette che si può insinuare ovunque è significativa. Nel 1434 imperversava la Peste- ecco, il ragno nero è come quel flagello. E il ragno nero non colpisce solo il corpo dei malcapitati ma anche la loro anima- i contadini sono incattiviti e malevoli. Finché…e qui Gotthelf rispolvera un altro dettaglio delle leggende. L’astuzia e la bontà di un uomo riescono a imprigionare il ragno in un buco del legno e lo tappano dentro. C’è ancora un seguito…

dal film

    Ho letto che Elias Canetti ha scritto: ”Lessi Il Ragno Nero e mi sentii perseguitato, come se quel ragno si fosse annidato sul mio viso.” È l’impressione che ho avuto anche io leggendo il racconto, tanta è la forza descrittiva, il realismo con cui l’autore ci narra di questa eterna lotta. Colpisce, poi, il contrasto tra l’aracnide nero (ma ad un certo punto tutta la natura pullula di questi esseri neri) che contiene in sé una minaccia mortale e la quiete verdeggiante della natura che pare indifferente.

    Giustamente è stato definito un piccolo capolavoro.




    

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