Casa Nostra. Qui Italia
romanzo di formazione
Paolo Malaguti, “Piero fa l’America”
Ed.
Einaudi, pagg. 208, Euro 18,50
Un paesino nel Veneto. Fine 800. Una
famiglia poverissima, i Gevori. Li chiamano ‘i bisnenti’, i due volte niente,
tanto sono poveri. Con tanti figli, però. Il più grande, Piero, ha quindici
anni. Dopo di lui, la sorella Lina e il fratellino Tonìn. Dei più piccoli-
quanti sono, come si chiamano- sapremo molto dopo, restano ai margini di questa
storia che leggiamo con una certa qual oppressione sul petto, perché il tempo,
il luogo, i personaggi che la animano sono diversi, eppure ci parlano dell’oggi,
di altra gente che affronta un ignoto diverso con le stesse difficoltà.
Il romanzo di Paolo Malaguti si apre con una scena su cui forse ci poniamo delle domande, prima di renderci conto che, pur essendo tristemente vera, acquista un valore simbolico. Piero e Tonìn vanno in cerca di nidi nel bosco. A Tonìn tocca solo avvistarli, a Piero il compito di arrampicarsi e strappare gli uccellini dal nido, uccidendoli. Con una sensibilità tutta sua, da fratello maggiore, Piero vuole risparmiare a Tonìn questa esperienza cruenta. Si deve pur mangiare, polenta e oséi sfameranno la famiglia, ma non è una cosa che Piero faccia a cuor leggero. Quando saranno lontani migliaia di chilometri, laggiù dove tutto è al contrario, dove l’inverno è estate e dove Piero e Tonìn non capiscono come facciano gli uomini a non cadere se il mondo è rotondo e nell’emisfero sud sono a testa in giù, ci sarà un’altra scena memorabile in cui Piero protegge il fratello, prendendo per sé il fagiolo bianco che lo manderà con altri 49 uomini in una spedizione punitiva contro gli indigeni nella foresta. A Tonìn consegna il fagiolo nero che lo farà restare nella colonia, che non lo esporrà a rischio di morte, che non lo traumatizzerà per sempre con azioni che Piero non farebbe, se non vi fosse costretto. Perché l’autodifesa è come la fame, ti obbliga a fare il Male.
I Gevori vengono spodestati, devono lasciare la loro casa, per misera che sia. Insieme ad altri del paese partiranno per il Brasile. Chi c’è già stato e viene a reclutare gente disposta ad andare a coltivare i campi laggiù, racconta di terra a volontà, di un paese di bengodi. Pur diffidenti, i Gevori non hanno scelta. Il racconto della prima parte del viaggio, in treno fino a Genova, ha il sapore della novità, il gusto della scoperta, risentiamo un’eco della meraviglia attonita di ‘Carlino scopre il mare’ di Nievo. Poi il viaggio su una nave che a Piero sembra abbia un nome minaccioso, Orione- Piero non conosce il mito di Orione, ed è un bene, visto che in nessuno dei miti che parlano di lui, Orione ha una sorte felice. Non è la nave degli schiavi di “Radici” di Haley, non è neppure un transatlantico di lusso, ma di certo è meglio dei barconi stracarichi che vediamo arrivare a Lampedusa.
Il Brasile sarà l’infrangersi dei sogni. Il
Brasile sarà il banco di prova della tempra di questi uomini che hanno
abbandonato la miseria certa per un benessere incerto, per un lavoro durissimo,
al pari di quello che avevano svolto, per il nulla davanti a cui si trovano di
fronte, perché non c’è neppure una casa nel mato
in cui li hanno portati (e loro pensano che il mato sia uno sconosciuto pazzo che si aggira lì). La differenza è
che vogliono credere nel futuro, vogliono credere che, dopo aver disboscato,
bruciato, seminato, il raccolto sarà abbondante, loro diventeranno ricchi,
potranno far arrivare il resto della famiglia che hanno lasciato in Italia.
“Piero fa la Merica”- il primo romanzo (molto bello) in cui Malaguti si allontana dalla sua terra, proprio come i personaggi del suo libro- è tanti libri insieme. È la nostra Storia, prima di tutto, di un tempo che forse vorremmo dimenticare nel momento in cui siamo chiamati ad allungare una mano ai migranti che sbarcano di continuo sulle nostre coste- le foto sgranate e scolorite di fine secolo mostrano visi di un incarnato un poco più chiaro ma con lo stesso sguardo di paura e di scoramento.
È un romanzo di formazione che inizia tipicamente con un viaggio, viaggio di scoperta anche se non è il Grand Tour dei poeti romantici, viaggio che fa conoscere la morte ma anche l’amore, la delusione d’amore, il tradimento (ancora più doloroso per Piero perché viene da qualcuno della sua stessa famiglia). È un romanzo d’avventura, alla scoperta di un paese lontano che, tuttavia, è già abitato e Piero, con quella sensibilità che gli conosciamo, ha dei dubbi- sul diritto che hanno, loro, di usurpare quelle terre comportandosi nella stessa maniera di chi ha cacciato loro da ‘casa’, di uccidere per affermare la loro supremazia. E gli vengono in mente i nidi e gli uccellini- non è forse la stessa cosa? Piero non dimenticherà mai quello che è stato costretto a fare.
Dopo tante difficoltà, violenze, morti e
colpi della sorte, il finale ha il sapore di una favola a lieto fine, è come il
cerchio che si chiude, in un’atmosfera dorata con la compensazione del mal
fatto.
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