Voci da mondi diversi. Australia
storia di famiglia
Christina Stead, “L’uomo che amava i bambini”Ed.
Adelphi, trad. F. Bossi, pagg.659, Euro 16,00
“Che titolo ambiguo”, ha osservato una
persona sconosciuta che occhieggiava il titolo del libro che stavo leggendo.
Mettiamo in fuga ogni ambiguità- l’uomo che amava i bambini del romanzo della
scrittrice australiana Christina Stead è un padre di famiglia con sette figli
e, se stesse a lui, ne vorrebbe ancora, magari con la pelle nera o gialla, in
uno slancio di amore universale.
Quello di Christina Stead non è un romanzo
nuovo. La scrittrice è morta nel 1983 e il romanzo è stato pubblicato per la prima
volta nel 1940 e ha avuto, in seguito, fortune alterne. È stato per lo più
ignorato fino ad una lode esaltante di Jonathan Franzen una decina di anni fa.
È stato paragonato a “Guerra e Pace” e alla “Recherche” di Proust. Non posso
essere d’accordo, anche se di certo è un romanzo singolare nel suo selvaggio
attacco alla famiglia.
I Pollit sono i protagonisti- il padre Sam, la madre Henny, una figlia del primo matrimonio di Sam, altri cinque bambini che poi diventano sei. E la loro grande casa, Toboga House, di proprietà del padre di Henny (la dovranno lasciare, per trasferirsi in un’altra casa alquanto fatiscente).
Sam e Henny sono una coppia che farebbe
passare a chiunque la voglia di sposarsi- sono in lite perpetua e l’atmosfera
in quella casa, fra improperi e urla e minacce, è quella dell’anticamera
dell’inferno.
Sam
è il personaggio più odioso che io abbia mai incontrato in un romanzo. Non
perché sia cattivo, ma è insopportabile con la sua ingiustificata continua
allegria, i suoi bamboleggiamenti, il linguaggio sulla falsariga di quello
storpiato infantile con cui si rivolge ai figli. Migliora solo nei sei mesi in
cui viene mandato per lavoro (è un biologo) in Malesia. Laggiù, circondato da
adulti, diventa una persona normale.
Henny, tanto bruna quanto Sam è biondo, è altrettanto odiosa. Perché si è sposata? Non lo sa neppure lei. Ricordiamoci che Henny appartiene ad una realtà pre-pillola- sembra che tutti questi figli siano arrivati per caso, non voluti, anche se, per il sesto, non aveva forse accettato l’invito di Sam a fare un altro bambino? Anche se poi erano stati avanzati dei dubbi se il piccolo Chuppy fosse figlio di Sam o piuttosto dell’amico di Henny. Henny non fa che gridare, minacciare di suicidarsi e, in alternativa, di ammazzare i bambini. Per non dire delle ingiurie che scaglia contro la figlia che Sam aveva avuto dalla prima moglie, Louise, il brutto anatroccolo che aveva perso la mamma quando era piccolissima- parole velenose, cattive, che fanno male. La cronica mancanza di soldi appesantisce la situazione. Louise dice: “Quando mi avvicino a casa, comincio a tremare come una foglia…non so perché. Non ho mai detto a nessuno come vanno le cose a casa.” E poi: “Non ne parlo perché nessuno mi crederebbe!”.
Se cerchiamo una lettura estremamente
realista, “L’uomo che amava i bambini”, è il libro giusto. Non ci sono lenti
rosa che addolciscano il quadro della famiglia Pollit. Anzi, le lenti si
tingono di nero alla fine. E tuttavia c’è troppo e troppo ripetitivo. La
famiglia Pollit basta e avanza, non ci sarebbe bisogno delle sotto-storie e di
tutti gli altri personaggi delle famiglie dell’uno e dell’altra, perché
appesantiscono la narrazione.
Non possiamo che concordare con le famose
parole di Tolstoj che fanno da incipit ad Anna Karenina, “Ogni famiglia
infelice è invece disgraziata a modo suo”- è quello su cui Christina Stead
cerca di riflettere, si è infelici fin dall’inizio senza forse neppure saperlo?
Si accumula infelicità su infelicità fino a che è impossibile tollerarla? È possibile
essere profondamente infelici e al contempo essere dei buoni genitori? Come è
possibile non riverberare questa infelicità sui figli, vittime innocenti?
La nuova edizione Adelphi del romanzo di Christina Stead è preceduta da un’introduzione di Jonathan Franzen ed in chiusura contiene un saggio di illuminante di Randall Jarrell.
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