Casa Nostra. Qui Italia
seconda guerra mondiale
Filippo Boni, “Muoio per te. Cavriglia, 4 luglio 1944”
Ed.
Longanesi, pagg. 372, Euro 19,00
Il 5 luglio 1944 191 uomini, di un’età compresa tra i quattordici e gli ottantacinque anni, furono rastrellati, mitragliati e bruciati in cinque frazioni del comune di Cavriglia, in provincia di Arezzo- un massacro, un’azione preventiva, un’intimidazione, una rappresaglia.
Filippo Boni, giovane giornalista e
studioso di Storia del Novecento, ci consegna la ricostruzione di quel giorno
in cui fu l’innocenza a morire insieme a quei 191 che non erano stati neppure
interrogati, semplicemente uccisi senza discernimento, perché abitavano lì, nei
pressi di quelle montagne, covo di quelli che per i tedeschi erano terroristi
oppure, per italiani e Alleati, patrioti che difendevano la patria
dall’invasore. Filippo Boni ha una forte motivazione per scrivere del massacro-
nel 1996 suo nonno, 72 anni, prima di morire di cancro gli aveva consegnato dei
fogli con degli appunti. Perché suo nonno Giuseppe era là, quel 5 luglio. Aveva
vent’anni, era scampato all’eccidio. Il padre di Giuseppe, il macellaio
Annibale, era morto- dapprima era riuscito a nascondersi, poi, quando una voce
errata gli aveva detto che il figlio era tra le vittime, si era consegnato ai
tedeschi. Gli era impossibile continuare a vivere se il figlio minore era stato
ucciso.
È questa la storia che Filippo Boni racconta, dei cinque paesini, di povera gente, lavoratori della miniera, contadini, della macelleria del bisnonno, della numerosa famiglia Boni composta da otto figli. Giuseppe, suo nonno, era il più piccolo e soffriva perché gli sembrava di non riuscire mai a parlare con suo padre. Avrebbe voluto dirgli che lui, Giuseppe, pensava fosse giusto raggiungere i partigiani sui monti- la loro lotta era anche la sua. E tuttavia perfino il sacerdote del paese gli aveva fatto notare che il suo posto era al lavoro accanto al padre, che il suo compito era quello di fornire il cibo ai compaesani e ai combattenti.
In qualche maniera arcana si avvertiva il peso incombente della minaccia tedesca sul comune di Cavriglia. Già avevano reclamato un quadro prezioso del Beato Angelico per quell’avido collezionista di Goering (e per fortuna era stato nascosto). E tuttavia, quando i camion con i soldati arrivarono, di prima mattina, colsero la gente di sorpresa. Filippo Boni ci aveva fatto conoscere gli abitanti delle frazioni, le donne, gli uomini e i bambini. Ci aveva presentato anche i sacerdoti a cui andrà la nostra ammirazione per il loro coraggio. E, quando il peggio succede, quando iniziano i rallestramenti, quando le donne e i bambini vengono allontanati, non sono più degli estranei per noi. Non sono personaggi di carta, ma persone vere quelle che pensano che si tratti di un controllo di routine- dopotutto loro non hanno fatto niente-, quelle che verranno falciate dalle mitragliatrici dell’Unità Hermann Goering sotto i gelidi occhi spietati del comandante Wolf che ascoltava Mozart mentre la gente moriva, che ordinava l’esecuzione del soldato che si era rifiutato di sparare su gente inerme. Per poi ordinare di dare tutto alle fiamme.
Qualcuno si era salvato- il marito di una
sorella di Giuseppe si era travestito da donna, un altro si era nascosto in un
grande tino, altri si erano gettati nel vuoto al di là di un muretto rotolando
per una scarpata. Si erano salvati per ricordare, per testimoniare, per portare
il lutto per sempre, per cercare giustizia per un crimine di guerra che rimase
impunito.
Tredicimila pagine, oltre novecento
fascicoli che contenevano la storia tragica di oltre quindicimila persone
coinvolte nei crimini di guerra commessi durante l’occupazione nazifascista in
Italia sono rimasti nascosti fino al 1994 in quello che è stato chiamato
l’Armadio della Vergogna. Le motivazioni per questo occultamento, per quanto
sotto un’apparente giustificazione razionale dettata dalla politica del tempo,
sono altrettanto vergognose quanto i delitti che avrebbero dovuto essere
perseguiti. Ecco perché il libro di Filippo Boni è importante. Per fare
giustizia almeno sulla carta. Per preservare la memoria.
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