Voci da mondi diversi. Vietnam
guerra del Vietnam
Ninh Bao, “Il dolore della guerra”
Ed.
Neri Pozza, trad. Carlo Prosperi, pagg. 256, Euro 19,00
Sono passati 50 anni. Il 30 aprile 1975 la caduta di Saigon segnava la fine della guerra del Vietnam iniziata nel 1955. “Il dolore della guerra” di Ninh Bao fu pubblicato nel 1994 per la prima volta in traduzione inglese e solo nel 2006 poté circolare liberamente nel suo paese da dove era stato bandito per la visione antieroica del conflitto. Si colloca così a fianco degli altri grandi romanzi di guerra, da “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Erich Maria Remarque a “Morire a primavera” di Ralph Rothmann, romanzi strazianti in cui non c’è proprio niente del dulce et decorum est pro patria mori di Orazio, verso ripreso poi dal poeta inglese Wilfred Owen.
La guerra di Ninh Bao è una carneficina,
sono corpi straziati, è un tiro alla roulette russa. Il suo racconto inizia dal
presente in cui- è il 1976- il protagonista fa parte della squadra preposta al
recupero dei resti dei dispersi in azione. Stanno aspettando la stagione
asciutta, le giungle e le montagne sono fradice di pioggia. Kien conosce bene
la regione in cui si trovano. Era il 1969 quando il suo battaglione era stato
circondato e annientato, proprio qui. Solo dieci uomini erano sopravvissuti. Da
allora gli spiriti dei morti in battaglia vagavano tra i cespugli, i germogli
di bambù erano di un colore rosso sangue, di notte gli uccelli piangevano in
quella che aveva preso il nome di Giungla delle Anime Urlanti. Se qualcuno
debole di cuore fosse vissuto qui, avrebbe finito per morire di paura o
impazzire.
Kien non muore di paura e non impazzisce, ma ci va vicino. In quello che diventa un libro di memorie senza un flusso temporale in ordine cronologico, Kien rivive la sua vita, mescolando i ricordi più lontani di tempi felici prima della guerra ai combattimenti, alle sequenze continue di sofferenza e di morte. Era giovanissimo, Kien, allo scoppio della guerra, poco più di un adolescente. Era innamorato, era sicuro che Phuong, la bella Phuong (è un caso che abbia lo stesso nome della protagonista di “Un americano tranquillo” di Graham Greene?), lo avrebbe aspettato. Erano insieme sul treno che lo avrebbe portato al centro di arruolamento, c’era stato un bombardamento, lui non aveva neppure capito subito che cosa stava succedendo a Phuong quando l’aveva vista schiacciata sotto il corpo massiccio di un uomo- erano sopravvissuti entrambi ma Phuong non sarebbe più stata la stessa.
Sì, Kien è miracolosamente sopravvissuto,
sarebbe dovuto morire decine di volte e invece era sempre scampato. Per che
cosa, poi? Il dolore della guerra è il dolore del sopravvissuto, il dolore di
chi non appartiene più né al mondo di prima né a quello di adesso, il dolore di
chi non riesce a cancellare le immagini dei corpi che bruciano sotto le bombe
al napalm, di chi è tornato per non ritrovare nulla di quello che ha lasciato.
Kien beve, beve per stordirsi, per dimenticare, per non sentire i gemiti della
Giungla delle Anime Urlanti, per fingere di non vedere gli uomini che entrano
ed escono dalla stanza di Phuong. Beve e scrive, scrive disordinatamente,
scrive nei fumi alcolici, scrive perché, in questo mondo in rovina, nella
solitudine che avvolge chi, dopo aver combattuto come ha fatto lui, non tornerà
più ad essere un uomo normale, il suo compito è quello di rendere
testimonianza. Per non dimenticare. Perché nessuno dimentichi.
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