domenica 7 luglio 2024

Jarka Kubsova, “La palude delle streghe” ed. 2024

 




Voci da mondi diversi. Area germanica


Jarka Kubsova, “La palude delle streghe”

Ed. Neri Pozza, trad. Chiara Ujka, pagg. 325, Euro 18,05

 

    Ochsenwerder, alla periferia di Amburgo, nella zona delle Marschlande (terre paludose) che è, infatti, il titolo originale del libro di Jarka Kubsova, scrittrice di lingua tedesca nata in Cecoslovacchia, a Pilsen.

    Britta Stoever. Giorni nostri.

    Abelke Bleken. 1570.

Due donne. Due tempi diversi. Due storie. Eppure, nonostante i secoli di distanza, nonostante le esperienze di vita differenti, c’è molto che accomuna Britta e Abelke, c’è un legame tutto femminile che la narrativa accentua nell’alternarsi di capitoli che si collegano come anelli di una catena- quello che segue si allaccia al precedente riprendendone il tema come fosse una sequenza musicale, la storia di una donna che si riversa in quella dell’altra.

    Sembrava un idillio, quando Britta, il marito e i due figli si sono trasferiti a vivere a Ochsenwerder, lasciando Amburgo. La casa grande (più tardi Britta verrà a sapere che la gente del posto la chiamava ‘la casa di ghiaccio’ perché era tutta di vetro e cemento) piaceva soprattutto al marito, ma la pace della natura, l’Elba che scorreva vicino, le gru sull’argine, gli spazi aperti- tutto questo riempiva il cuore, era come una rinascita. Eppure una certa qual insoddisfazione striscia in Britta- lei che aveva amato il suo lavoro di ricerca e che aveva dovuto abbandonarlo dopo che erano nati i figli, lei che aveva ripiegato su un altro lavoro che non la soddisfaceva affatto, si sente ora più che mai tagliata fuori da tutto. Il marito esce al mattino, rientra alla sera, scambiano a mala pena due parole, lui ha sempre cose più importanti a cui pensare. Lei esce per lunghe passeggiate nei dintorni e incomincia a chiedersi quali storie si nascondano dietro case abbandonate, perfino un poco sinistre. E’ così che si imbatte in un cartello che segnala una strada, con il nome di Abelke Bleken. Si incuriosisce, fa ricerche in internet, chiederà in giro.


    Abelke aveva fatto una fine terribile. Era bella, gestiva da sola, con l’aiuto di un paio di lavoranti, una grande fattoria dopo la morte del padre. Sognava un uomo che aveva conosciuto ad una festa di paese (era andato via con la promessa di tornare, non si era più rivisto), aveva un’amica (il marito di questa le impediva di vederla). Poteva una donna orgogliosamente indipendente non attirare la malevolenza degli invidiosi nel tempo in cui viveva? E noi siamo indotti a pensare che la attiri tuttora, una donna come lei.

Ma erano i tempi della ‘caccia alle streghe’ in cui demonizzare una donna significava gettare su di lei la colpa di tutto- morti accidentali, malattie, carestie, alluvioni. Quello che non poteva essere spiegato razionalmente era attribuito ai sortilegi operati da chi se non da una donna, dalla peccatrice Eva che era stata la causa della cacciata dal Paradiso terrestre?

     Abelke aveva previsto la bufera e la conseguente alluvione, aveva avvisato i paesani che mettessero in salvo il raccolto, le bestie e loro stessi. Nessuno le aveva creduto. Quando poi la natura si era scatenata, quando l’argine aveva ceduto, tutto quello che era successo dopo era la soluzione per sbarazzarsi di un personaggio scomodo, per impadronirsi di una fattoria che faceva gola a molti. Il ‘come’ è storia risaputa, ne abbiamo letto in molti libri, da “Il crogiuolo” di Arthur Miller a “La chimera” di Sebastiano Vassalli.


    In parallelo alla storia di Abelke scorre quella di Britta e, in chiave minore, quella della figlia adolescente. Sono storie diverse che parlano, però, di maschilismo, di prevaricazione, dei rischi maggiori che corrono le donne a qualunque età, delle responsabilità- anche quelle maggiori- che le donne devono assumersi in una famiglia.

    Ispirato ad una vicenda reale, “La palude delle streghe” ‘strega’ la nostra attenzione con una narrativa fatta di uno sguardo poetico e insieme realista, calandoci in situazioni in cui ci immedesimiamo al di là delle barriere di tempo. È questo che ci colpisce, come tutto sia cambiato restando fondamentalmente uguale.



 

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