Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
Voci da mondi diversi. India
love story
Sunjeev Sahota, “La stanza delle mogli”
Ed.
Astoria, trad. Cecilia Vallardi, pagg. 272, Euro 18,00
1929. Una zona rurale del Punjab, al
confine con il Pakistan. Tre spose di tre villaggi vicini per tre fratelli. E
no, questo romanzo, longlisted per il Booker Prize 2021, non è una commedia
romantica di stile hollywoodiano, è piuttosto un dramma.
Tre matrimoni con una sola cerimonia (così
si risparmia), tre spose con un sari rosso che non sanno quale dei tre fratelli
sarà ed è il loro marito. Tutte e tre sono alloggiate nella stanza delle
porcellane (“The China room” il titolo in inglese per dei piatti di porcellana
che qualcuno di famiglia aveva portato dalla Cina), lavorano nella fattoria
tutto il giorno dirette dalla temibile suocera a cui, alla sera, i figli
rivolgono la richiesta di chiamare la moglie in un’altra stanza. Sono amplessi
nel buio, si può cercare di indovinare dai calli sulle mani, dal profilo del
volto, dal tono di voce, quale dei tre uomini sia il proprio marito, ma
l’incertezza permane, la fantasia corre. E’ un bambino che si vuole. Non
importa chi lo generi, basta che sia un maschietto.
Mehar è la più giovane delle mogli. Ha solo quindici anni e la futura suocera aveva già contrattato per lei quando aveva solo cinque anni. Sarebbe dovuta essere la moglie del terzogenito, lo scapestrato figlio ventenne, ma il figlio maggiore, il prediletto della madre, se ne era innamorato a prima vista e l’aveva chiesta per sé.
C’è un grosso errore alla base della storia
d’amore che segue. C’è una ragazzina quindicenne che sbircia dalle fessure
degli scuri della finestrella, che fantastica, che crede di riconoscere l’uomo
che è così tenero con lei di notte, che diventa ardita e sfacciata (ma non è
poi suo marito quello a cui lei si rivolge con tanta audacia?), c’è un amore
che divampa tra corpi giovani, nutrito dalla segretezza e- almeno per uno dei
due- dal proibito. Ma gli incendi d’amore sono sempre pericolosi. E a questo
pericolo di dramma famigliare si aggiunge quello dei movimenti di rivolta che
iniziano ad infiammare l’India e che hanno bisogno di reclutare guerriglieri.
Nel 1999 la fattoria è in rovina, la porta della camera delle mogli è sprangata, ci sono delle sbarre alla finestrella, nel paese circolano leggende su quanto è successo e incuriosiscono il ragazzo diciottenne arrivato dall’Inghilterra in condizioni pietose. Lo zio che lo ospita non capisce quale sia il male che affligge il ragazzo, il medico pensa che sia dengue. È tutt’altro naturalmente e forse è meglio allontanarlo dalla casa dove abitano gli zii, mandarlo alla fattoria.
I due filoni si alternano anche se quello
delle tre spose ha una rilevanza di gran lunga maggiore che fa impallidire la
storia parallela di un ragazzo discriminato in Inghilterra per la sua pelle
scura che trova un riscatto nel ritorno alla terra della sua famiglia dove si
sente stranamente a suo agio, dove il lavoro fisico lo libera dalle dipendenze,
dove apprende la vera storia della sua bisavola.
“La stanza delle mogli” è, in un certo
senso, un romanzo doppiamente e parzialmente autobiografico- la storia della
bisnonna dello scrittore in Punjab e tracce della sua stessa adolescenza,
cresciuto in una famiglia emigrata dal Punjab nel 1966. È un romanzo destinato
a catturare il cuore delle lettrici con una storia di tre spose che sono tre
ragazze che trovano nell’amicizia tra di loro un conforto, perché non hanno
neppure il diritto di sapere chi è il proprio marito, perché sono strumenti per
la procreazione in cui non c’è spazio per l’amore. Anche se poi l’amore è più
forte e vince sempre, soprattutto se si è giovani. A che prezzo? Viene in mente
il film “Lanterne rosse” tratto dal libro di Su Tong, vengono in mente altre
donne della letteratura e della Storia in una sorellanza senza confini.
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