Voci da mondi diversi. Francia
biografia romanzata
David Diop, “La porta del non ritorno”Ed.
Neri Pozza, trad. Margherita Botto, pagg. 220, Euro 18,00
Dapprima sua figlia Aglaé aveva pensato che
quella parola che il padre ripeteva in punto di morte fosse’ mamma’, poi aveva
capito che doveva essere un nome, ripetuto all’infinito, ‘Maram’. Era stata
‘Maram’ l’ultima parola pronunciata da suo padre, il botanico Michel Adanson.
Michel Adanson aveva avuto un’unica grande
ambizione, un unico grande scopo nella sua vita- che Orbe universel, il suo capolavoro enciclopedico, gli desse la
gloria, lo innalzasse ai vertici della botanica. Aveva speso così la sua vita,
descrivendo in tutti i dettagli piante, molluschi, animali di ogni specie.
Aveva insegnato ad Aglaé, quando era ancora una bambina, a osservare la natura,
a stare china su un fiore. E però questa sua passione-ossessione gli aveva
fatto trascurare la famiglia. Sua moglie lo aveva lasciato, si era risposata.
Ed è solo dopo la sua morte che Aglaé, accettando lo strano lascito del padre e
aprendo per caso e per curiosità un cassettino segreto in un suo mobile, trova
un diario con la storia della sua vita e riesce a conoscerlo veramente.Michel Adanson
È il 1750 quando inizia la storia segreta
di Michel Adanson che noi leggiamo insieme ad Aglaé in questa sorta di diario.
Una storia che ci porta in Senegal dove Michel, ventitre anni, si reca per
studiarne la fauna e la flora. E impara la lingua wolof e la sua prima riflessione è che un viaggiatore europeo
dovrebbe fare proprio come lui, se volesse conoscere davvero gli africani-
impararne la lingua per stabilire un contatto, per capirli meglio.
Quello che fa Michel è un viaggio di scoperta, un viaggio di crescita, un viaggio che lo porta a riflettere quanti preconcetti abbiano i suoi connazionali che considerano gli africani come essere inferiori solo perché sono diversi. Sono inferiori solo perché non hanno eretto grandi edifici di pietra? Solo perché non hanno costruito transatlantici? L’errore è giudicarli in base a quello che noi conosciamo, in base a quello che noi riteniamo grande e un segno di cultura. Loro si sono espressi in altra maniera, hanno testimoniato altrimenti la grandezza delle loro imprese.
“La porta del non ritorno” è un romanzo
che, parlando degli albori della scienza botanica, è nello stesso tempo un
romanzo di avventura e un romanzo d’amore, un amore insolito perché diverso,
perché sfida le convenzioni, perché ha un finale drammatico. Ci sono altri due
personaggi principali ad affiancare Michel Adanson, un ragazzino che diventa la
sua guida e il suo amico (e il libro è anche il romanzo della sua formazione, in questo rapporto di
scambio reciproco in cui è difficile dire chi impari di più dall’altro), e la
bellissima Maram, la ragazza di cui Michel porterà con sé il ricordo fino alla
morte.
In realtà non succede nulla tra Michel e Maram.
La storia di lei è quella solita della ragazzina insidiata che fugge, che viene poi ritrovata proprio da Michel. La novità è proprio nella scoperta di una cultura che si nutre del fantastico e nell’animistico e nella problematica che si cela dietro questo amore e che spinge il protagonista a riflettere su discriminazione, razzismo, su quell’abominio che è la schiavitù e il vendere esseri umani come fossero bestie. Il peggio verrà dopo, quando tutto sarà finito (e non ci può essere che una fine tragica per questa storia), il peggio sarà convivere con sensi di colpa e infine cedere alla mentalità generalizzata, quasi che solo un effimero amore avesse potuto far dimenticare il comune senso commerciale prevalente.
Sono passati secoli dal tempo in cui il
romanzo è ambientato. Guardiamo con orrore alla tratta degli schiavi nel
passato, ma siamo poi così sicuri che, con modalità diverse, non esista ancora?
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