Voci da mondi diversi. Asia
il libro ritrovato
Haruki Murakami, “La ragazza dello Sputnik”
Ed. Einaudi, pagg. 236, Euro 14,46
C'è quasi sempre un io narrante,
nei romanzi di Haruki Murakami, uno dei più grandi scrittori giapponesi
moderni. In genere è un ragazzo giovane che ha studiato. In genere lo seguiamo
in giro per Tokyo, mentre si siede in un bar a bere vino rosso e a fumare. In
genere è innamorato, o ha conosciuto una ragazza enigmatica. Che poi scompare.
E c’è sempre un sottofondo musicale. E la storia ad un certo punto ha una
svolta che mescola sogno e realtà e disorienta un poco. Nelle prime 70 pagine
de “La ragazza dello Sputnik” c’è un triangolo amoroso: il ragazzo, che fa
l’insegnante perché – come già il protagonista de “L’uccello che girava le viti
del mondo” – rifiuta la competizione della società giapponese, ama una sua
coetanea, Sumire. Sumire legge Kerouac, ascolta Brahms e Beethoven, vorrebbe
fare la scrittrice, non ricambia il suo amore e parla con lui di Myu, una donna
che ha diciassette anni più di lei e di cui lei è innamorata.
Nella seconda
parte del libro Sumire è andata in Europa per lavoro con Myu e, mentre sono
insieme in un’isola greca, scompare. A questo punto la storia procede
attraverso due dischetti di computer che contengono il diario di Sumire. C’è il
racconto di sogni, di un fatto accaduto 14 anni prima e che ha imbiancato in
una sola notte i capelli di Myu e di quando Sumire ha dichiarato alla donna il
suo amore: quali indizi si possono raccogliere sulla scomparsa della sua amica?
Il ragazzo sa soltanto che si sente improvvisamente molto solo, che sono
scomparsi dei colori dal mondo, che è come trovarsi in un paesaggio lunare su
cui si è stati abbandonati da un’astronave svanita nello spazio. Una malinconia
che è un’altra caratteristica essenziale dei libri di Murakami, una sensazione
di vuoto, un’ansia esistenziale che segue una riflessione sulla fugacità della
vita: “allungando le mani, riusciamo a prenderci la quantità di tempo che ci è
assegnata, e poi la guardiamo mentre indietreggia alle nostre spalle”. Non
sappiamo che cosa è successo a Sumire. Una telefonata dice al ragazzo che è
tornata. Non sappiamo se si rincontrano, se lei è passata al di là dello
specchio, verso l’altra parte di sé che ha intravisto in sogno, in una
dimensione della realtà che Myu ha sperimentato.
Lo stile terso di Murakami fa
pensare alle delicate stampe giapponesi, quelle fatte con un pennello
sottilissimo e che lasciano indovinare un mondo suggestivo e nascosto dietro l’
apparente semplicità dell’immagine.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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