Voci da mondi diversi. Canada
romanzo 'romanzo'
FRESCO DI LETTURA
Jane Urquhart, “Sanctuary line”
Ed.
Nutrimenti, trad. N.
Manuppelli, pagg. 238, Euro 14,45
Per generazioni i Butler,
arrivati in Canada dalla Scozia, erano stati frutticoltori o guardiani dei fari. Gli uni attenti all’eterno
ciclo delle stagioni con il rinnovato fiorire e poi la gloriosa raccolta di
frutti succosi e profumati, gli altri in perpetua vigilanza, con quell’occhio
luminoso aggiunto a spazzare mari sereni o in tempesta. Si raccontano molte
storie, degli uni e degli altri Butler, nel romanzo “Sanctuary Line” della
scrittrice canadese Jane Urquhart. Storie che si tramandano di generazione in
generazione, che diventano leggende,
del guardiano del faro conosciuto come One Eye perché aveva perso l’altro
occhio in una tempesta e che era tornato sulla terraferma dopo che le onde gli
avevano portato via entrambi i figli, dell’altro che passava il tempo a leggere
e rileggere “Moby Dick” e neppure si era accorto di una imbarcazione che
richiedeva soccorso- ne aveva ritrovato la vicenda in una novella di Stephen
Crane (e per fortuna lo scrittore si era salvato, ma uno di quelli a bordo con
lui era morto)-, di fienili andati a fuoco, dei Butler che sono rimasti in
America, al di là del lago Erie, e di quelli che, invece, si sono costruiti la
fattoria in Canada. E poi ci sono le
storie che non si raccontano, quelle a cui si gira intorno, a cui si
accenna. Sono le storie che, per un qualche motivo che noi indoviniamo essere drammatico, vengono costruite a
frammenti, per formare un insieme chiaro solo alla fine.
Nel tempo presente in cui l’io narrante, l’entomologa Liz, inizia a parlare, non c’è più il frutteto,
nessuno abita più nella fattoria che, quando Liz era bambina e poi adolescente,
traboccava di vita- gli zii e i cugini, lei, Liz, con la madre che era la
sorella dello zio Stanley, altri cugini che venivano a passare lì la giornata,
i lavoranti stagionali messicani che abitavano nelle ‘baracche’. Tra questi
c’era un bambino, Teo, e lo zio Stanley insisteva che lo facessero giocare con
loro, poco importava se non sapeva l’inglese. Sono ricordi di estati che sembravano non finire mai,
quelli che si affastellano nella mente di Liz, di caldo, di nuotate, della
bionda cugina Mandy, quasi una sorella per Liz, delle stravaganze dello zio Stanley, personaggio dominante e
affascinante intorno a cui ruotava tutta la famiglia. La realtà del presente è
dominata dall’assenza. Un’assenza
pesante, gravida di dolore. Mandy si era arruolata e non è tornata
dall’Afghanistan. La zia è morta, la madre di Liz è in una casa di riposo, i
cugini chissà. Dello zio Stanley si continua a ripetere che se ne è andato e
non ha dato più notizie di sé- che cosa è successo, di che colpa si è macchiato
perché nessuno voglia neppure più nominarlo? Anche i messicani non sono più
venuti e Teo, il dolce Teo che i cugini avevano umiliato, che conosceva- come
sua madre- il linguaggio del corpo, che fine aveva fatto Teo?
Ha un’andatura lenta e un poco
sognante, il bel romanzo di Jane Urquhart, una narrativa poetica che equilibra la forte tensione che si accumula prima delle rivelazioni finali
dove tutti i lati oscuri vengono alla luce. E c’è una metafora che serve anche da leitmotiv
lungo tutto il corso del libro, quella delle
farfalle, il motivo per cui Liz si trova ora nella fattoria di famiglia-
deve fare una ricerca sulla farfalla monarca, l’esemplare dalle ali arancioni
venate di nero che ha trovato un ‘santuario’ nell’area della Sanctuary Line che
corre vicino alla fattoria dei Butler.
Quando le farfalle si raccolgono tutte
su un albero prima di prendere il volo per emigrare verso il paese da cui viene
Teo, è come se una bandiera fiammeggiante
palpitasse nel cielo- sono un potente simbolo per le migrazioni di ogni tipo, da quelle stagionali dei lavoratori a
quelle di chi cerca la salvezza, come è successo agli avi dei Butler in altri
tempi o alla famiglia del misterioso uomo amato da Mandy.
Un
romanzo bello e insolito.
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