Voci da mondi diversi. Australia
Geraldine Brooks, “Come il vento”
Ed.
Neri Pozza, trad. Massimo Ortelio, pagg. 390, Euro 20,00
Lexington, Kentucky, 1850. Jarret era lì, nella stalla, quando il puledro era nato. Era stato amore a prima vista, del ragazzino nero con il puledro dal manto rossiccio, una stella bianca sul muso e le zampe bianche. Gli era stato dato il nome di Darley, cambiato poi in Lexington quando si era reso necessario identificare quello straordinario cavallo con il Kentucky. Ci si aspettava molto da Darley, figlio di un cavallo dal carattere difficile ma che era stato capace di vincere, in sette anni, quaranta delle quarantacinque gare a cui aveva partecipato. E Darley diventato Lexington avrebbe mantenuto le promesse, sarebbe diventato il primo, grande purosangue d’America.
È Lexington il protagonista del romanzo di
Geraldine Brooks, con un coprotagonista che impariamo ad amare quanto il
cavallo baio- Jarret, figlio dell’addestratore di cavalli Harry che era
riuscito a comprare la libertà per sé ma non per il figlio. Jarret sarà sempre
vicino al ‘suo’ cavallo, ne condividerà i successi, capace di avvertire in lui
timori e malesseri, di prevenirli e di curarli, mettendo al primo posto la
salute e la felicità di Lexington, riconoscendogli una dignità pari a quella di
un essere umano.
Il racconto di Geraldine Brooks non è, però,
una narrazione piatta della vita e delle vittorie di uno splendido cavallo, è
movimentata dall’alternarsi di diversi punti di vista, di voci diverse su piani
temporali che distano più di un secolo l’uno dall’altro.
Theo, Jess, Thomas Scott, Martha Jackson- le voci dei primi due ci giungono dal 2019, Thomas Scott è contemporaneo di Jarret e del suo cavallo, i capitoli di Martha Jackson hanno una data nella metà degli anni ‘50 del ‘900. Se Jarret è il personaggio che si identifica con il cavallo, gli altri quattro hanno a che fare con la storia di Lexington in un’altra singolare maniera che ha un che di affascinante perché, ognuno a suo modo, sono loro ad avere il merito di rendere eterna la fama del baio. Thomas Scott aveva dipinto Lexington in tutta la sua gloria, il quadro (uno dei molti, in realtà) era passato per le mani della gallerista Martha Jackson e poi di Theo, giornalista e storico dell’arte nero, che lo aveva raccolto tra le immondizie prima di incontrare Jess il cui lavoro era ricostruire lo scheletro di Lexington.
In primo piano c’è la storia di questo
eccezionale cavallo che seguiamo mentre cambia di padrone, fremendo per l’ingiustizia
della legge che, nel 1850, proibisce ad un nero di possedere un cavallo e di
farlo gareggiare. Ci pare di essere fra gli scommettitori, puntando su di lui,
ammirandolo come se lo vedessimo su uno schermo. La gloria, poi la brusca
interruzione delle corse (Jess ne scopre il motivo, esaminando lo scheletro) e
un secondo tipo di gloria come padre di una progenie numerosa e altrettanto
valida quanto lui.
In secondo piano c’è uno schizzo degli stati del Sud prima della guerra di secessione, quando la schiavitù era la norma e la base della ricchezza, i padroni bianchi erano arbitri di vita e di morte sugli schiavi neri e castighi terribili venivano inflitti a chi cercava di fuggire verso la libertà. È questo, quasi certamente,il motivo per cui nella trama c’è il personaggio di Theo, testimone, con la sua tragica fine, di come tutto sia cambiato ma sia rimasto uguale.
Ricordo soltanto un altro romanzo con un
protagonista equino, “War horse” di Michael Morpurgo, adattato anche in un film
diretto da Spielberg. In entrambi i romanzi colpisce la straordinaria ‘umanità’
del cavallo che rende possibile il legame di amicizia, di fedeltà e di amore,
con l’uomo- un ragazzo in entrambi i romanzi.
Un libro appassionante che piacerà agli
amanti degli animali, a chi predilige i romanzi storici (molti dei personaggi
che appaiono nel libro sono esistiti veramente) e a chi piace la storia
dell’arte, anche quella di nicchia.
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