Voci da mondi diversi. Israele
Ed.
Mondadori, trad. A. Shomroni, pagg. 293, Euro 21,00 2019
Lei si chiama Vera. È arrivata in Israele
nel 1963 dalla Croazia con una figlia diciassettenne, Nina. Il marito, un
ufficiale serbo, è morto tanti anni prima, suicida in un carcere di Tito in
quella che era Jugoslavia. Vera ricomincia da capo, in un kibbutz. Accetta di
sposare un vedovo gentile il cui figlio, Rafael, si innamora perdutamente di
Nina. La amerà per tutta la vita, inspiegabilmente, perché Nina non è una persona
facile da amare. Nina e Rafael avranno una figlia, Ghili.
È Ghili la voce narrante del romanzo, storia di tre donne, di grandi amori non sempre felici e di grandi tragedie. Perché se Auschwitz è il nome della tragedia più grande del secolo XX, ci sono state altre tragedie meno conosciute, contrassegnate da altri nomi dalla triste connotazione- Goli Otok, l’Isola Calva dell’Adriatico che dal 1948 al 1956 servì come campo di concentramento di Tito, che vi isolò gli oppositori politici. E Goli Otok, dove Vera aveva passato tre anni per essersi rifiutata di firmare una falsa dichiarazione in cui riconosceva che il marito- già morto- aveva parteggiato per Stalin tradendo Tito, è la destinazione delle tre donne.
Goli Otok è, tuttavia, il termine di un
lungo viaggio interiore dei protagonisti. Tutta la sofferenza, non solo di
Vera, ma soprattutto di Nina e di Ghili parte da lì, da Goli Otok. Perché Vera
aveva scelto la purezza della memoria del marito amatissimo tradendo la figlia,
una bimba di sei anni che era stata abbandonata. Terribile la ripercussione di
questo abbandono, del tutto incomprensibile e traumatico per una bimba, su Nina
che diventerà una donna incapace di provare alcunché (verrà soprannominata ‘la
Sfinge’, appena arrivata nel kibbutz). Nina resterà legata a Rafael per tutta
la vita ma qualcosa le impedisce di stargli accanto e, ricalcando l’abbandono
da lei subito, pure lei scompare lasciando la piccola Ghili di solo tre anni.
Il modello del rapporto madre e figlia si
ripete, inesorabilmente, una generazione dopo l’altra. Come Nina odia sua madre
Vera, così Ghili odia Nina. E nel rifiuto della maternità, da parte di Ghili,
c’è la paura di prolungare questo comportamento, come fosse un marchio genetico
a cui non si può sfuggire.
Le tre donne si ritrovano per festeggiare il novantesimo compleanno di Vera che è ancora incredibilmente vispa per la sua età, il centro degli affetti in una famiglia allargata che è sua per acquisizione. Nina, per contro, è sciupata, mentre Ghili, così fisicamente diversa da madre e nonna, sta combattendo una battaglia privata che deciderà del suo rapporto di coppia.
È la malattia di Nina che rende necessario
fronteggiare il passato per esorcizzarlo- loro tre e Rafael partiranno per Goli
Otok. Perché il tempo stringe, perché la cinepresa di Ghili può filmare i
luoghi e registrare la voce di Vera che racconterà la storia sua e del padre di
Nina, perché sia Nina sia Ghili- e forse anche Vera- scendano a patti con quel
passato che non sono mai riuscite ad accettare.
L’esperienza di Vera a Goli Otok è una
variante delle storie di orrore che abbiamo letto sui campi di concentramento.
Non c’è fine all’inventiva della crudeltà e del Male. Un Male talmente
stravagante che Vera non aveva assolutamente capito che cosa le stessero
facendo, quale fosse il senso dei giorni passati immobile sotto il sole in cima
ad uno sperone roccioso.
In questo libro di donne, se è Vera che si
impone con la sua forte personalità, è però Rafael il personaggio da amare e da
ammirare- per il suo cuore grande, per la sua capacità di comprendere e di
perdonare e di continuare ad amare.
Il nitore della scrittura di Grossman è
straordinario.
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