lunedì 17 agosto 2020

Franco Faggiani, “Non esistono posti lontani” ed. 2020


                                                      Casa Nostra. Qui Italia
                                                         romanzo on the road 

Franco Faggiani, “Non esistono posti lontani”
Ed. Fazi, pagg. 250, Euro 18,00, formato kindle 9,99

    Questo è il romanzo ‘on the road’ più insolito e straordinario che abbia mai letto, con due compagni viaggiatori più insoliti e improbabili che abbia mai conosciuto, l’uno il doppio dell’altro in un’armonia di opposti. Il professor Filippo Maria Cavalcanti è ultrasettantenne, esperto di arte, archeologo, ha ricoperto incarichi importanti al Ministero della Cultura; Quintino Aragonese deve il cognome nobiliare ad una madre adottiva che lo ha preso sotto la sua ala protettiva, ma non ha niente di nobile. Non conosciamo la sua età precisa, potrebbe essere sulla ventina. Da bambino deve essere stato uno scugnizzo, adesso è un giovane che un termine inglese descriverebbe come ‘streetwise’, è un ragazzo a cui la strada è stata scuola di vita, smaliziato, astuto, irrispettoso e però saggio, saggio come- per l’appunto- nessun libro potrebbe insegnare ad essere, ma soltanto la strada. Il vecchio e il giovane, il colto e l’ignorante, l’uomo sempre un po’ ‘ingessato’ e il ragazzo spontaneo e istintivo. Il caso li fa incontrare. Uno scopo diverso ma di uguale importanza li mette insieme.

     È il 1944. Il professor Cavalcanti viene inviato a Bressanone per controllare lo stato di integrità di un carico di opere d’arte che i tedeschi hanno requisito a Roma. Il pretesto è quello di esibirli in un museo di Berlino, ma tutti sanno dei furti di opere d’arte fatti dai nazisti. E Cavalcanti soffre per tutti quei capolavori trafugati e soprattutto soffre per il sarcofago di un bambino che lui considera ‘suo’ perché era stato lui a trovarlo a Volubilis in Marocco, e la storia del ritrovamento è un piccolo cammeo dentro il romanzo: la storia di una perdita dolorosa che pesa sulla coscienza di Cavalcanti e che torna ora alla memoria. Siamo tutti più o meno colpevoli e la morte di un bambino, per un atto di incuria, importa tanto quanto quella della scia di vittime che i nazisti si sono lasciati dietro nella ritirata.
     Cavalcanti e Quintino si conoscono a Bressanone (Quintino ruba la cartella piena di documenti del professore, poi gliela restituisce- conoscenza è fatta) e stringono questo strano patto. Quintino, che fa il meccanico in questo confino forzato, ruberà un camion, Cavalcanti finanzierà l’impresa del ritorno a Roma con il carico dei quadri. Quintino ha pensato a tutto, da come farsi consegnare le opere d’arte dai soldati di guardia indossando divise naziste al percorso da fare, ai viveri, alle bottiglie da usare come merce di scambio.
    Il viaggio incomincia e sarà quanto mai avventuroso. Basti dire che inizia con una deviazione per Salisburgo prima di scendere a Sud e percorrere strade secondarie per non imbattersi nei tedeschi ma neppure nei partigiani. Ci saranno infiniti cambiamenti di itinerario, soste, incontri, amicizie, baratti, fughe precipitose e il viaggio diventa per entrambi un percorso di maturazione, anche se mai Cavalcanti lo avrebbe immaginato, alla sua età. Ognuno dei due dà qualcosa all’altro. Quintino dà la sua maniera realistica, leggera e cinica di affrontare la vita, come se avesse già visto tutto e sperimentato tutto. All’irruenza di Quintino Cavalcanti oppone la sua posatezza, la sua cultura. Lentamente il loro ruolo si trasforma quasi in quello di un padre e un figlio. Il viaggio è lungo, dura più del previsto. Ci sono momenti in cui la narrazione rallenta, c’è lo spazio per tante descrizioni di paesaggi di quiete in un mondo in fiamme. Quello che prevale, però, è il divertimento, l’allegria delle reazioni di Quintino, lo scambio vivace di battute tra i due.

   E poi c’è la Storia, la storia di quei mesi confusi, di quel 1944 dopo l’armistizio, quando i tedeschi imperversano ancora a Roma e sperano di rallentare l’avanzata degli Alleati bloccandoli con la Linea Gotica. Una Storia vista da un’angolatura singolare, di sbieco, mai veramente fronteggiata. Una Storia che rispecchia le paure e le miserie della gente comune.
     C’è tutta la sensibilità di Franco Faggiani, che già abbiamo ammirato nei libri precedenti, in questo romanzo che è una lezione di vita riassunta nelle parole di Quintino, lo scugnizzo saggio: “Non esistono posti lontani, esistono destinazioni da raggiungere.”



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