Casa Nostra. Qui Italia
Franco Faggiani, “Non esistono posti lontani”
Ed. Fazi, pagg. 250, Euro 18,00,
formato kindle 9,99
Questo è il romanzo ‘on the road’ più
insolito e straordinario che abbia mai letto, con due compagni viaggiatori più
insoliti e improbabili che abbia mai conosciuto, l’uno il doppio dell’altro in
un’armonia di opposti. Il professor Filippo Maria Cavalcanti è
ultrasettantenne, esperto di arte, archeologo, ha ricoperto incarichi
importanti al Ministero della Cultura; Quintino Aragonese deve il cognome
nobiliare ad una madre adottiva che lo ha preso sotto la sua ala protettiva, ma
non ha niente di nobile. Non conosciamo la sua età precisa, potrebbe essere
sulla ventina. Da bambino deve essere stato uno scugnizzo, adesso è un giovane
che un termine inglese descriverebbe come ‘streetwise’, è un ragazzo a cui la
strada è stata scuola di vita, smaliziato, astuto, irrispettoso e però saggio,
saggio come- per l’appunto- nessun libro potrebbe insegnare ad essere, ma
soltanto la strada. Il vecchio e il giovane, il colto e l’ignorante, l’uomo
sempre un po’ ‘ingessato’ e il ragazzo spontaneo e istintivo. Il caso li fa
incontrare. Uno scopo diverso ma di uguale importanza li mette insieme.
È il 1944. Il professor Cavalcanti viene inviato a Bressanone per
controllare lo stato di integrità di un carico di opere d’arte che i tedeschi
hanno requisito a Roma. Il pretesto è quello di esibirli in un museo di
Berlino, ma tutti sanno dei furti di opere d’arte fatti dai nazisti. E
Cavalcanti soffre per tutti quei capolavori trafugati e soprattutto soffre per
il sarcofago di un bambino che lui considera ‘suo’ perché era stato lui a
trovarlo a Volubilis in Marocco, e la storia del ritrovamento è un piccolo
cammeo dentro il romanzo: la storia di una perdita dolorosa che pesa sulla
coscienza di Cavalcanti e che torna ora alla memoria. Siamo tutti più o meno
colpevoli e la morte di un bambino, per un atto di incuria, importa tanto
quanto quella della scia di vittime che i nazisti si sono lasciati dietro nella
ritirata.
Cavalcanti e Quintino si conoscono a Bressanone (Quintino ruba la
cartella piena di documenti del professore, poi gliela restituisce- conoscenza
è fatta) e stringono questo strano patto. Quintino, che fa il meccanico in
questo confino forzato, ruberà un camion, Cavalcanti finanzierà l’impresa del
ritorno a Roma con il carico dei quadri. Quintino ha pensato a tutto, da come
farsi consegnare le opere d’arte dai soldati di guardia indossando divise
naziste al percorso da fare, ai viveri, alle bottiglie da usare come merce di
scambio.
Il viaggio incomincia e sarà quanto mai avventuroso. Basti dire che
inizia con una deviazione per Salisburgo prima di scendere a Sud e percorrere
strade secondarie per non imbattersi nei tedeschi ma neppure nei partigiani. Ci
saranno infiniti cambiamenti di itinerario, soste, incontri, amicizie, baratti,
fughe precipitose e il viaggio diventa per entrambi un percorso di maturazione,
anche se mai Cavalcanti lo avrebbe immaginato, alla sua età. Ognuno dei due dà
qualcosa all’altro. Quintino dà la sua maniera realistica, leggera e cinica di
affrontare la vita, come se avesse già visto tutto e sperimentato tutto.
All’irruenza di Quintino Cavalcanti oppone la sua posatezza, la sua cultura.
Lentamente il loro ruolo si trasforma quasi in quello di un padre e un figlio.
Il viaggio è lungo, dura più del previsto. Ci sono momenti in cui la narrazione
rallenta, c’è lo spazio per tante descrizioni di paesaggi di quiete in un mondo
in fiamme. Quello che prevale, però, è il divertimento, l’allegria delle
reazioni di Quintino, lo scambio vivace di battute tra i due.
E poi c’è la Storia, la storia di quei mesi confusi, di quel 1944 dopo l’armistizio,
quando i tedeschi imperversano ancora a Roma e sperano di rallentare l’avanzata
degli Alleati bloccandoli con la Linea Gotica. Una Storia vista da
un’angolatura singolare, di sbieco, mai veramente fronteggiata. Una Storia che
rispecchia le paure e le miserie della gente comune.
C’è tutta la sensibilità di Franco Faggiani, che già abbiamo ammirato
nei libri precedenti, in questo romanzo che è una lezione di vita riassunta
nelle parole di Quintino, lo scugnizzo saggio: “Non esistono posti lontani,
esistono destinazioni da raggiungere.”
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