domenica 5 aprile 2020

Peter May, "Lockdown" ed. 2020


                            Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
cento sfumature di giallo
     in altre lingue

Peter May, “Lockdown”
Ed. Riverrun, formato kindle Euro 5,49

     Un tempismo eccezionale, aver fatto uscire l’edizione digitale di questo romanzo di Peter May il primo di aprile 2020, in piena pandemia da coronavirus. Il primo pensiero è quello di una manovra commerciale- e di certo lo è per quello che riguarda la data di pubblicazione che fa leva sulla curiosità (anche la mia). Poi pensiamo che è impossibile che il romanzo sia stato scritto e corretto e consegnato in due mesi e dobbiamo credere a quello che Peter May stesso dice- che aveva scritto “Lockdown” nel 2005, dopo aver fatto ricerche sulla SARS per un altro suo libro, ma che il suo editore non lo aveva voluto pubblicare giudicandolo troppo irreale: adesso che non è più irreale, è il momento giusto. Perché il romanzo è lo specchio di quello che sta accadendo intorno a noi.
     Un’influenza aviaria ha messo Londra in ginocchio. È causata da un virus con un’altissima capacità di contagio e il tasso di mortalità è altissimo- l’80%. I crematori funzionano a pieno regime, è stata imposta la legge marziale, le strade sono deserte, i negozi chiusi, le insegne divelte, le famose luci di Piccadilly Circus sono spente, la polizia non riesce a far fronte alla piccola criminalità e allo sciacallaggio, i rapporti umani si sono dissolti- chiunque può infettarti, si devono mantenere le distanze, abbracci ed effusioni sono un ricordo del passato. Le poche persone che sono in giro sembrano zombie con la faccia coperta dalla mascherina che rende ogni riconoscimento impossibile. Un farmaco, il KillFlu (la fortuna della casa farmaceutica che lo produce), può combattere il virus- il KillFlu vale oro.

      In questa ambientazione che riconosciamo con un brivido si svolge la trama gialla del romanzo. Durante gli scavi per erigere un ospedale provvisorio viene ritrovato un sacco con delle ossa. L’ispettore Jack McNeil, alle sue ultime ore di servizio, è incaricato del caso e si avvale della consulenza di un’amica microbiologa che non solo riconosce che le ossa devono essere state di una bambina, ma riesce anche a capire che la bimba doveva essere asiatica e che soffriva di una grave malformazione- aveva un labbro leporino su di cui non era stato fatto nessun intervento correttivo. Se qualcuno si chiede che importanza possa avere un morto in più nell’ecatombe giornaliera dei morti per il virus, per McNeil l’importanza è proprio in questo- ha assistito impotente ai rantoli del suo unico figlio, vuole rendere giustizia alla piccola sconosciuta che qualcuno ha ucciso. Ed è subito chiaro che la sua morte nasconde qualcosa di grosso, se si osservano le forze che si mettono in moto.

      È una lettura che incuriosisce, quella di “Lockdown”, e per motivi che non hanno a che fare con la soluzione dell’enigma poliziesco. Incuriosisce la capacità tipica degli scrittori, di saper cogliere i pericoli che avvertono nell’aria, le minacce distruttive nei confronti della società in cui viviamo, e di lavorarci con l’immaginazione proiettandoli nel futuro, con tutte le conseguenze. È questa capacità che ci ha dato grandi romanzi distopici come “Coraggioso nuovo mondo” e “1984” e che è alla base di “Lockdown”. 
La trama del romanzo di Peter May avrebbe avuto bisogno di qualche revisione ma certamente ha un suo interesse e purtroppo anche una sua plausibilità. La parte che più colpisce- proprio perché vi troviamo il riflesso di quello che stiamo sperimentando- è la descrizione della fine di un modo di vita che avevamo dato per scontato, la capsula di solitudine in cui ognuno è rinchiuso, la rassegnazione fatalista alla morte, il profondo dolore nel non potersi accomiatare da chi ci precede nell’aldilà e nel non poter rendere l’onore dovuto ai defunti.

Da brivido la scena conclusiva sul London Eye, la grande ruota costruita per il nuovo millennio, memento della legge inesorabile della sorte che sale e scende (e in qualche maniera ci ricorda la famosa scena de “Il terzo uomo” sulla ruota del Prater di Vienna, anche quella una storia di scelta tra la vita e la morte, tra il Male e il Bene).

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