Voci da mondi diversi. Giappone
Murakami Haruki, “L’assassinio del commendatore”
Ed. Einaudi, trad. A. Pastore, pagg.
411, Euro 17,00
Un altro libro che finisce in sospeso, proprio come quello appena letto
di Carmen Korn. Anche questo, “L’assassinio del commendatore”, termina in un
momento cruciale, anzi, peggio, con la pagina presa da un libro che parla di un
ritrattista nel campo di Treblinka: che cosa ha a che fare con la storia che
abbiamo appena letto? Abbiamo girato pagina, curiosi. Niente. Pagina bianca.
Fine del primo libro. Eh no, Murakami Haruki, non dovevi farlo! Dovremo
aspettare il seguito con pazienza.
Il protagonista è un pittore di ritratti. Il suo stile e il suo metodo
sono particolari. Non ritrae mai dal vero, vuole incontrare e parlare con la
persona che deve dipingere: ha una straordinaria capacità di intuito, di capire
la personalità di chi gli sta di fronte. A volte, nei suoi quadri, appaiono
tratti di un carattere che l’altro neppure sapeva di avere ma che riconosce
come propri, quando li vede sulla tela.
Il pittore è in crisi. Sua moglie lo ha
appena lasciato. Un amico, figlio del famoso pittore Amada Tomohiko, gli offre
ospitalità in quella che era la casa di suo padre, in un luogo isolato sui
monti. E adesso incominciano le coincidenze e le stranezze, il racconto che
corre sul filo sottile tra realtà e irrealtà, nello stile tipico di Murakami
Haruki. Incontra un uomo molto ricco e molto ambiguo che abita in una splendida
villa sul dorsale del monte di fronte alla sua casa. Si chiama Menshiki che
vuol dire ‘assenza di colore’. Prendiamo nota, sappiamo che i dettagli sono
importanti nei libri di Murakami. Menshiki ha folti capelli bianchi- il pittore
pensa al personaggio di Poe i cui capelli si sono incanutiti dopo la discesa
nel maelström.
E noi sentiamo il richiamo non solo a Poe ma anche a Henry James de “Il giro di
vite” nel romanzo dello scrittore giapponese. Se è difficile distinguere tra
ciò che è reale e ciò che non lo è, l’arte pittorica (ma potrebbe anche essere
la scrittura) è il mezzo migliore per lasciare intuire all’occhio quello che
questo non riesce a vedere.
Quale messaggio vuole comunicare lo strano
personaggio che spunta da una botola nel quadro di Amada Tomohiko che il nostro
pittore ha ritrovato in soffitta e che reca il titolo “L’assassinio del
commendatore”? non c’entra niente con la scena che sembra essere suggerita dal
“Don Giovanni” di Mozart. Più tardi, però, Menshiki darà un’altra
interpretazione del quadro, collegandolo ad un attentato a Hitler a cui- si
dice- avesse partecipato anche Amada prima di essere espulso da Vienna e di
ritornare in patria per subire una metamorfosi e cambiare del tutto il suo
stile di pittura.
Metamorfosi: anche su questa parola dovremmo riflettere perché anche il
nostro pittore trasforma il suo modo di dipingere quando esegue, su
commissione, il ritratto di Menshiki. E facendo così, cambia anche se stesso. E
che dire dell’omino alto 60 cm. che esce fuori dalla buca nel giardino da cui
proveniva un misterioso suono di campanella? E’ vestito come il commendatore
del quadro, dice di non essere un fantasma ma un’idea e solo il pittore lo vede
e lo sente parlare.
Non può avere una conclusione il parlare di un libro che non si
conclude, un libro che stuzzica, che offre tante interpretazioni diverse quanti
sono i suoi lettori, che di certo esalta l’arte- qualunque forma di arte- come
un terzo occhio, una dimensione aggiunta.
Un romanzo di Murakami è sempre imperdibile.
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