vento del Nord
romanzo di formazione
FRESCO DI LETTURA
Pajtim Statovci,
“L’ultimo parallelo dell’anima”
Ed.
Frassinelli, trad. N. Rainò, pagg. 256, Euro 18,50
Emine, la madre.
Beqim, uno dei cinque figli.
Emine, nel 1980, in Kosovo.
Beqim, in Finlandia, ai nostri giorni.
Sono
due voci con una storia unica, che incomincia nei Balcani in un tempo che
sembra più lontano di quello che è in realtà, perché le usanze dettate dalla
tradizione e lo stile di vita sono rimasti inalterati da tempo immemorabile, e che termina- o che non termina affatto tranne che nel romanzo- in un altro
paese lontanissimo dal Kosovo, un paese che non sarà mai la loro patria, come
non lo sarà più neppure quello da cui la famiglia è partita nel 1993 in fuga
dalla guerra.
Nel 1980 Emine è giovanissima. La sua
famiglia è povera. Quando uno sconosciuto la vede, mentre sta andando a scuola,
si incapriccia di lei e va a chiederla in moglie insieme a suo padre, c’è
qualcuno che tentenna, che si oppone, che prende tempo? No di certo. Non ce n’è
motivo. Bajram è un bell’uomo, studia all’università di Pristina, è ricco e la
sommerge di regali. Questa è l’usanza, l’amore verrà dopo, Emine è fortunata.
Che poi lui le dia uno schiaffo mentre lei, vestita di bianco, è seduta in
automobile vicino a lui (come mai questa trasgressione al rigido galateo della
cerimonia?) mentre stanno andando a sposarsi, è l’annuncio di un futuro non del
tutto felice. Lo sposo non rispetterà affatto le promesse fatte davanti al
padre di lei, non sarà né riguardoso, né affettuoso e tanto meno rispettoso.
Il
giorno del matrimonio di Emine segna un cambiamento epocale non solo nella sua
vita: alla radio annunciano la morte di Tito, l’uomo che era stato capace di
dare coesione agli stati dei Balcani. Le difficoltà iniziano subito, la minaccia
grava nell’aria, la partenza viene decisa nel 1993. Si scartano paesi troppo
lontani, come l’America o l’Australia, si sceglie la Finlandia. Senza un motivo
preciso, si pensa che laggiù, anzi, lassù si debba stare bene.
La realtà dell’esilio è durissima. Affiora
sia dal racconto di Emine, sia da quello di Beqim di cui sappiamo subito- per
un incontro fissato con un appuntamento online- che è gay.
Da Beqim sappiamo
dell’umiliazione di sentirsi diversi- ad iniziare dal nome insolito che sperava
nessuno mai gli chiedesse per non dover dare spiegazioni-, dell’emarginazione,
dell’essere trattati come selvaggi, come paria, come sfruttatori, delle
difficoltà della lingua- e su due fronti, poi, perché guai a parlare finlandese
in casa. Alla fine della guerra, d’estate si tornava in Kosovo. Si sognava quel
ritorno e poi non si vedeva l’ora di fuggire, di nuovo, di tornare al Nord, nel
paese dove non erano desiderati. Erano degli estranei in Finlandia e lo erano
anche in patria, ormai.
Una particolarità del racconto di Beqim
rende la lettura più difficile e tuttavia è intesa ad esprimere la sensazione
di alterità del protagonista- Beqim ama i gatti e i serpenti. Tiene in casa un
serpente boa come amico ed un gatto parlante (il titolo originale, Kissani Jugoslavia, significa ‘il mio
gatto Jugoslavia’). Al lettore indagarsi sulle metafore nascoste dietro questi
animali e che cosa sia avvenuto nella vita di Beqim bambino quando soffriva di
incubi in cui era attaccato da serpenti.
“L’ultimo parallelo dell’anima” è un
originale doppio romanzo di formazione- di un ragazzo e di una donna per cui il
drastico cambiamento finale è una meta ancora più ardua che mai si sarebbe
immaginata. Romanzo dell’esilio e delle divisioni all’interno dell’Europa, il
brillante esordio di un giovane autore (nato nel 1990 in Kosovo e trasferitosi
in Finlandia quando aveva due anni) che con questo libro si è aggiudicato il
premio Helsingin Sanomat Literature.
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