martedì 4 marzo 2014

Erich Maria Remarque, "Niente di nuovo sul fronte occidentale" 1929

                                                              prima guerra mondiale

                           il libro ritrovato


Erich Maria Remarque, “Niente di nuovo sul fronte occidentale”
Ed. Einaudi, trad. S. Jacini, pagg. 248, Euro 9,00

  Due cose mi hanno colpito, leggendo “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Erich Maria Remarque subito dopo aver terminato “Un anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu. L’uguaglianza delle esperienze e la differenza di consapevolezza politica. Perché, in “Niente di nuovo sul fronte occidentale, non si discute mai di strategie belliche, mai si mettono in dubbio gli ordini o si parla dei superiori. Soltanto una volta i ragazzi parlano- o meglio, chiacchierano- della guerra. Sono discorsi da ragazzini, che hanno la profonda saggezza dell’innocenza- che cosa vuol dire che una nazione ne attacca un’altra? Che cosa è una nazione? Loro non hanno niente contro i francesi. Ma ci sono otto anni di differenza tra l’Emilio che viene mandato a combattere sull’Altipiano e il diciottenne Paolo (Erich Paul Remark è il vero nome dello scrittore tedesco) che lascia la scuola per arruolarsi insieme ad altri sei compagni, infuocati dalle parole di un insegnante (lo rincontreranno, Paolo e un altro ex studente, questo insegnante, dopo un paio di anni di guerra e si divertiranno a sue spese, essendo superiori a lui di grado). Otto anni che spiegano questa mancanza di consapevolezza e che, d’altra parte, rendono ancora più dolorosa la somiglianza delle esperienze. Sono partiti per una grande e gloriosa avventura, gli studenti diciottenni. Incontreranno forse l’avventura, che però non sarà né grande né gloriosa. Non è glorioso morire per la patria a diciotto anni, sventrati da una granata.                                                           

    E’ diverso il paesaggio della guerra di Paolo da quello del Carso di Emilio- Paolo è nelle piatte Fiandre ma piove all’infinito, come sul Carso. La vita nelle trincee è uguale, uguale il misero rancio, uguali i pidocchi, la paura, il freddo, il sentire il cambiamento inesorabile che l’essere continuamente esposti alla morte opera dentro di loro.

Alberto trova la formula: “E’ la guerra che ci ha reso inetti a tutto”.
Ha ragione: non siamo più giovani, non aspiriamo più a prendere il mondo d’assalto. Siamo dei profughi, fuggiamo noi stessi, la nostra vita. Avevamo diciott’anni, e cominciavamo ad amare il mondo, l’esistenza: ci hanno costretto a spararle contro. La prima granata ci ha colpiti al cuore; esclusi ormai dall’attività, dal lavoro, dal progresso, non crediamo più a nulla. Crediamo alla guerra.

Quello di cui Paolo e i compagni sono ben consapevoli è che per loro la vita non riprenderà più come prima. La loro sarà una generazione perduta che non riuscirà a riinserirsi nella società. Avranno visto cose di cui nessuno vorrà sentire parlare e che loro stessi forse non vorranno neppure ricordare. Succede a Paolo, la prima volta che si reca a casa in licenza. Gli offrono da bere, gli chiedono com’è la situazione al fronte- ah, sì, lo sanno che è tremenda. Stop. Non si può, non si deve dire altro. Si potrebbe anche essere accusati di disfattismo. Non si può dire che di una compagnia di 150 uomini ne sono rimasti trenta. Non si può fare la battuta che alla fine della guerra non ci sarà più nessuno in Germania, visto che ora mandano a combattere anche i bambini di quindici anni. 

   Una sola cosa bellissima ha trovato Paolo in questi anni di guerra- e lo ha mantenuto in vita. Il cameratismo con i compagni, un sentimento nato dal condividere tutto, neppure paragonabile all’amore. Le pagine in cui Paolo cerca di tirare su il morale di uno dei compagni che giace in un letto di ospedale da campo e sta morendo, sono toccanti. Così come sono strazianti quelle in cui trasporta a spalle l’amico ferito e, quando arriva alle infermerie, gli dicono che è morto.
    Il libro si chiude in una giornata così calma e silenziosa che il bollettino del Comando è stringato: “Niente di nuovo sul fronte occidentale”. Eppure un ragazzo è morto. Nessuno si è accorto che una zolla di terra è stata lavata via dal mare e l’Europa è più piccola (sono le parole di John Donne).
Pubblicato nel 1929, “Niente di nuovo sul fronte occidentale” è sempre un libro bellissimo.

lo scrittore Erich Maria Remarque     


    

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