venerdì 10 maggio 2024

Alicia Giménez Bartlett, “La donna che fugge” ed. 2024

                                         Voci da mondi diversi. Penisola iberica

cento sfumature di giallo

Alicia Giménez Bartlett, “La donna che fugge”

Ed. Sellerio, trad. Maria Nicola, pagg. 430, Euro 17,00

    E’ sempre un gradito ritorno, quello di Petra Delicado, ispettrice della polizia di Barcellona. Il suo e quello del viceispettore Garzón Fermín. Sono un’accoppiata vincente, con il loro scoppiettante scambio di battute, la loro perfetta intesa, il piacere condiviso per una birretta o anche un bicchiere di qualcosa di più forte o per l’assaggio di qualche prelibatezza. Gli assaggi non mancheranno in questa nuova inchiesta nel’ambiente dei food trucks, i furgoni che vendono cibo di strada o specialità cucinate sul momento. A me questa del fud trac sembra una grandissima cazzata, dice Fermín (finirà poi per apprezzare, e molto).

   Christophe Dufour, 38 anni, cittadino francese residente in Spagna, cuoco specializzato in cibo francese in un food truck, è stato ucciso con un paio di coltellate al cuore durante la notte.


Nessuna delle persone che dormivano nei due furgoni gastronomici a lato di quello di Christophe avevano visto o sentito nulla. Christophe e il suo socio si alternavano a dormire sul furgone e in un albergo- quella notte toccava a Christophe. Il socio non sapeva niente, sapeva poco anche della vita privata di Christophe che, a quanto pare, era un tipo riservato. Dagli scontrini e dalle chiacchiere dei gestori dei food trucks riuniti per una settimana gastronomica in quella piazza di Barcellona, salta fuori la figura di una donna molto bella, bruna, che aveva fatto grandi acquisti da Christophe.  Guarda caso anche la donna era francese. Si conoscevano, quei due? Quando si scoprirà che sia Christophe che la donna avevano dei passaporti falsi, si incomincia a capire che ci dovevano essere grossi traffici fra di loro. Droga? Probabile. Un regolamento dei conti? Chissà. Possibile che il socio non sapesse proprio niente? E comunque la sua disperazione, quando il suo camion viene distrutto, è vera.

    Si susseguono i colloqui con gli altri venditori dei food truck, va bene che a fine giornata erano tutti molto stanchi, ma è possibile che non avessero mai notato un certo andirivieni dal camion del prestante francese? Seguiranno poi altri morti…


Il brancolare nel buio, il non avere il minimo indizio, rende molto nervosi Petra e Fermín, la vita coniugale di entrambi ne risente. E, a fianco della traccia del romanzo di indagine poliziesca, ne scorre un’altra, improntata ad una sensibilità e a riflessioni più femminili, che indaga sul significato della vita coniugale. È vero che Petra aveva messo in chiaro con il marito quanto fosse importante per lei il suo lavoro e come questo avrebbe sempre avuto la precedenza su tutto, ma riesce a resistere un matrimonio quando gli orari sono impazziti e non ci si incontra quasi mai, quando Petra fa piano per andare a dormire per non svegliare Marcos e Marcos fa piano quando si alza per non svegliare Petra? Che cosa è poi questa storia che Marcos sogna di comprare una casa in campagna e vivere in un idillio agreste? Anzi, l’ha già comprata…Anche la moglie di Fermín si lamenta, perché lui non le presta attenzione, perché a lui una tenda vale l’altra, che scelga quello che le pare…

Petra nei film

Sembrano dissidi di poca importanza, la tendenza è a sottovalutarli pensando che ci sia sempre tempo per rimediare, e invece sono come la famosa goccia che erode la roccia, ora dopo ora, giorno dopo giorno. E finisce che la tensione è sempre alta, sia nell’ambito dell’indagine sia in quello privato.

    C’è un finale per entrambe le tracce- sospettavamo un poco di quello del filone poliziesco, mentre giunge come una sorpresa quello del filone privato (e Alicia Giménez Bartlett ci deve assolutamente un seguito, non può lasciarci così). Se c’è un filo di stanchezza in quello che è il quattordicesimo romanzo della serie, è vinto però dal brio, dalla vivacità, dallo humour mordace e del tutto caratteristico dei personaggi che non ci stancano mai.



    

 

 

martedì 7 maggio 2024

Teju Cole, “Tremore” ed. 2024

                                  Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America


Teju Cole, “Tremore”

Ed. Einaudi, trad. Gioia Guerzoni, pagg. 218, Euro 18,52

 

     Il singolare romanzo “Tremore” di Teju Cole, scrittore nigeriano-americano (nato negli USA, cresciuto in Nigeria e tornato poi negli Stati Uniti a 17 anni), inizia con il protagonista Tunde, professore a Harvard come lo scrittore stesso, che apre un biglietto bordato a lutto che comunica la morte di qualcuno del corpo docente- si è messo a collezionare questi biglietti che gli arrivano un paio di volte al mese, sostituiscono i segnali esterni del lutto, gli abiti e i gioielli neri che le vedove indossavano in altri tempi. Lo sguardo di Tunde si posa poi sui due libri che sono sul suo scrittoio- uno lo conosciamo bene, è “Le città invisibili” di Calvino. E forse la frase finale del libro di Calvino può essere una chiave di lettura per questo romanzo senza trama. Calvino diceva che ci sono due modi per non soffrire della consapevolezza di vivere in un inferno. Uno è quello di accettarlo e non vederlo più, e l’altro è cercare di riconoscere chi, in mezzo all’inferno, non è inferno e dargli spazio. È forse quello che fa Tunde nelle sue molteplici esperienze di cui ci parla e su cui riflette?

Ci Wara

   Partiamo con Tunde e la moglie Sadako in un breve viaggio che li porta da un antiquario. Qui Tunde compera un ci wara, una maschera africana che rappresenta un’antilope dalle lunghe corna. Questo oggetto e un foglio fotocopiato e affisso su una colonna di legno danno spunto a due pensieri che, pur riferendosi a paesi lontani l’uno dall’altro, hanno qualcosa in comune. Mentre il ci wara è un’opera d’arte indigena sottratta al paese e alla cultura a cui appartiene, il foglio fotocopiato riporta la notizia dell’assalto della fattoria Wells da parte degli indiani che massacrarono la donna e i bambini che vivevano lì. Qui si tratta di un caso di violenza inaudita, ma, dietro questa violenza, ce n’è un’altra, quella su cui si tace, dei coloni che pensavano di avere il diritto divino di impadronirsi delle loro terre e di ucciderli se opponevano resistenza. Così come avevano il diritto di strappare oggetti d’arte indigena per meglio preservarli (secondo loro). Questo sarà uno dei filoni del romanzo, una traccia che offrirà una lente di lettura per quadri e fotografie, ad esempio per quella che è una vera e propria lezione di storia dell’arte davanti al quadro di Turner “La nave negriera”, oppure per la storia del furto del quadro “Paesaggio con una città che brucia” del fiammingo De Bles da parte dei nazisti.

Turner, La Nave Negriera

   È del tutto impossibile riassumere questo libro così erratico e pieno di spunti di riflessione, sia quando Tunde accenna al periodo di distacco dalla moglie, sia quando ritorna a Lagos dove è cresciuto e non riconosce più la città e, per spiegarcela, abbozza ventiquattro brevi ritratti di persone diverse, dal guidatore del taxi alla prostituta, ognuno con il suo vissuto, ognuno un abitante dell’inferno della ‘città invisibile’ dove regna la corruzione e il degrado. E “Tremore” non è più solo l’esperienza del Nero Americano, ma di tutti i Neri, dei Neri Africani, del buio di essere Nero. Ma c’è altro ancora, in questo libro intitolato “tremore” perché scuote le nostre certezze, come i due terremoti (uno in un lontano passato, a Kobe, e uno nel presente). C’è la fotografia, c’è la musica, tanta musica che è come una colonna sonora, che ci incuriosisce e ci spinge a sentirla su YouTube quando sentiamo la nostalgia nella voce dello scrittore.

    Nell’ultima pagina ritorna una domanda che era già stata posta prima, in uno scambio tra Tunde e la moglie- ‘quando e dove sei stato più felice?’. È una domanda che ci assilla, che esige da noi lo sforzo di individuare un momento di felicità che ci tragga fuori dall’inferno.



domenica 5 maggio 2024

Martin Pollack, “La donna senza tomba” ed. 2024

                               Voci da mondi diversi. Area germanica

                                                      Storia

               saggio

Martin Pollack, “La donna senza tomba”

Ed. Keller, trad. Elisa Leonzio, pagg. 188, Euro 16,15

 

    Che tristezza, pensare ad una donna che non c’è più, non solo, una donna che una volta esisteva e si affacciava ad una finestra della grande casa della piazza e che adesso non si può neppure ricordare mettendo un fiore sulla sua tomba.

    Si chiamava Pauline Bast, sposata Drolc, ed era la prozia dello scrittore, vale a dire la sorella di suo nonno. Con l’amore della ricerca e dell’accuratezza storica che lo contraddistingue, Martin Pollack segue le tracce di Pauline (in sloveno Pavla), ne ricostruisce la vita e, insieme alla sua, quella della numerosa famiglia Bast. Intorno a loro si anima l’intera cittadina di Tüffer (in sloveno Laško), nella bassa Stiria. Osserviamo subito un dettaglio: tutti i nomi che vengono citati, sono detti in entrambe le lingue. Vuol dire tanto, vuol dire che parliamo di una terra passata da una sovranità all’altra, adattandosi, senza poter mantenere la sua identità.

   Iniziamo dal destino finale di Pauline, di cui Pollack riesce a sapere grazie ad una lettera del fratello di lei, suo prozio. Nel 1945, quando la guerra era finita da pochi mesi, i partigiani jugoslavi avanzavano nella bassa Stiria, arrestando gli abitanti di origine tedesca. Pauline, la mite Pauline di settant’anni, di famiglia tedesca ma sposata con l’organista slavo Drolc, fu arrestata e portata nel campo di internamento provvisorio del castello di Hrastovec. Morì poco dopo, in agosto, per le terribili condizioni del campo, per fame, chissà, per malattia o per sfinimento. Il corpo era finito in una fossa comune? Non fu mai ritrovato.

Hrastovec
       Ci vuole la pazienza, la meticolosità, la puntigliosità di un archeologo per fare ricerche su una persona che appartiene ad un’altra epoca in cui non esisteva neppure il concetto di una documentazione accurata. Martin Pollack procede, un passo dopo l’altro, a ricomporre le tessere di un puzzle- quello che si vedrà, alla fine, non sarà soltanto una figura di donna che molte persone di Tüffer ricordavano di aver visto per lo più alla finestra, ma l’intera cittadina, con schiere di personaggi di appartenenza territoriale e linguistica diversa. È una storia travagliata, quella dell’attuale Slovenia, pressata tra altri Stati, fagocitata dalla Germania prima, passata alla Jugoslavia poi. Martin Pollack inizia da quando la famiglia Bast si stabilì a Tüffer comprando la grande casa dove il loro nome avrebbe giganteggiato sulla porta, segue la crescita dei numerosi figli- le figlie femmine contavano poco, si sa, i maschi completarono gli studi, si unirono a confraternite simpatizzanti con il nuovo movimento nazionalsocialista, avrebbero sostenuto il Reich, uno di loro portava quei ridicoli baffetti alla Hitler. Nel corso inesorabile della Storia, quella che era stata una pacifica convivenza tra tedeschi e slavi, si sarebbe trasformata in un aspro contrasto, in un primo tempo con gli slavi considerati inferiori e la loro lingua bandita, e in un secondo tempo, dopo la fine del conflitto, la situazione si sarebbe capovolta con il desiderio di far scontare ai tedeschi tutte le loro colpe.


    Come se l’erano cavata i Bast? Di suo padre Gerhard, arruolato nelle SS e trovato morto nel 1947 (era ricercato come criminale di guerra e cercava di fuggire), Martin Pollack ha già parlato ne “Il morto nel bunker”, qui lo scrittore segue le sorti degli altri fratelli e sorelle Bast, un compito non facile in cui le testimonianze si basano su frammenti di ricordi e la parola passa dall’uno all’altro aggiungendo qualche dettaglio. E in definitiva la vittima della Storia fu una donna, Pauline, che non aveva colpe, non simpatizzava con i nazisti, era sposata con un non tedesco, un uomo di chiesa che aveva l’incarico di cuocere le ostie (tutti i bambini di un tempo ricordano con golosità gli avanzi di impasto che lui distribuiva). Lui aveva taciuto mentre portavano via la moglie?

    “La donna senza tomba” non è soltanto un esempio eccellente di libro-saggio, è anche un documento importante per la ricostruzione storica di un’epoca, è un omaggio alla memoria dei miti sulla terra.



giovedì 2 maggio 2024

Chetna Maroo, “T” ed. 2024

                   Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda

       romanzo di formazione

Chetna Maroo, “T”

Ed. Adelphi, pagg. 148, trad. Gioia Guerzoni, Euro 17,10

 

     Per chi non è pratico del gioco dello squash (simile al tennis e a padel ma con regole e campo diversi) il T è il centro del campo, il punto dove è consigliabile spostarsi velocemente, dopo aver colpito la palla, perché è da lì che si controlla meglio il gioco.

     Per le tre sorelle, Gopi, Khush e Mona (11,13 e 15 anni), gli allenamenti erano iniziati dopo la morte della mamma. Era stata un’idea del padre, dopo che la zia aveva osservato che le tre ragazzine crescevano come selvagge, che era necessario dare loro un impegno quotidiano. E così avevano iniziato a giocare a squash sul campo di Western Lane (da qui il titolo originale). È la piccola Gopi- voce narrante del romanzo- quella che si appassiona di più, quella che prenderà parte al campionato nonostante l’opinione contraria della zia, fedele alle idee tradizionali indiane su quello che una ragazza può o non può fare. Ma la zia (moglie del fratello del padre) è contraria a tante cose- all’amicizia tra Gopi e Ged (il ragazzo ‘bianco’ con cui lei si allena), alle chiacchiere che si scambiano, fumando, il cognato e la madre di Ged, al fatto che le tre nipoti crescano da sole con il padre, mangiando quello che capita, quello che la più grande di loro è capace di mettere in tavola. E avanza la proposta, per bocca del marito, lo zio Pavan, che Gopi vada ad abitare con loro ad Edimburgo. Sarebbe una gioia per loro che non hanno figli e sarebbe un sollievo anche per il padre. E Gopi andrà a stare dagli zii, a più di 600 km. di distanza dal padre e dalle sorelle.


    Il gioco dello squash ha un ruolo importante nel libro. È in parte un passatempo ma è soprattutto una disciplina mentale e fisica, con il T che diventa metafora di vita. Si gioca, si dà il meglio di sé, si allontana il pensiero costante della mamma che non c’è più. Perché la mamma è il personaggio che non c’è e che, però, è sempre presente nelle pagine del romanzo. La mamma che parlava gujarati (ha ancora senso che le sue figlie vadano a lezione di gujarati, adesso che lei è morta?), che indossava il sari con le scarpe pesanti per il clima inglese piovoso, che si applicava il sindur, la polvere rossa, sulla scriminatura dei capelli, che leggeva loro le storie quando andavano a letto. La mamma con cui Khush parla di notte, nel corridoio. La mamma che il padre continua a vedere seduta sulla poltrona. E perché dovrebbe negarsi il piacere di parlare con la madre di Ged? Il padre si è ristretto, sia come padre, sia fisicamente-fra poco scompare nella giacca che ha sempre indossato.


    È un libro sulla perdita, sul dolore del lutto, sul rapporto tra sorelle e tra fratelli, “T” di Chetna Maroo, scrittrice indiana britannica. Un libro sulla rielaborazione del lutto, su come affrontarlo senza lasciarsi sommergere dal dolore, un libro sul conforto che i legami famigliari possono dare. È anche un libro sul diventare grandi, sullo stupore pieno di incertezze nello scoprire i cambiamenti del corpo (dolcissima la scena in cui la sorella più grande di solo due anni tranquillizza Gopi, sgomenta alla vista del primo sangue), nel provare sentimenti finora sconosciuti di attrazione verso un ragazzo, nel desiderare di vederlo anche solo per giocare a squash con lui. Ognuno dei personaggi soffre e reagisce in maniera diversa- Mona si trova un lavoro (quanta delicatezza nel fare in modo che il padre non si senta umiliato quando è lei a pagare), Khush continua a parlare con una mamma che le ha lasciate e lui, il padre, lui è quello che sta per crollare, che si risolleva grazie alla vittoria insperata della figlia.

    La semplicità e la dolcezza sono le cifra narrativa di questo breve romanzo soffuso da un’aura di nostalgia e di spaesamento in cui è la coesione famigliare a dare la forza per affrontare la perdita.



martedì 30 aprile 2024

Aravind Jayan, “Giovane coppia si diverte all’aperto” ed. 2024

                                                          Voci da mondi diversi. India

                 love story

Aravind Jayan, “Giovane coppia si diverte all’aperto”

Ed. Guanda, trad. Elisa Banfi, pagg.231, Euro 18,00

     Sreenath non esce dalla sua camera neppure per vedere la nuova automobile, una Honda Civic, che suo padre ha appena acquistato. Appa e Amma (papà e mamma) sono in ammirazione davanti a quell’auto che rappresenta la posizione che si sono guadagnati con tanto lavoro e fatica e già immaginano la curiosità e la sottile invidia dei vicini di casa. Dunque, perché il figlio maggiore non viene ad ammirarla? Lo scopriranno tra poco.

   C’è un video che circola in rete, un video che poi verrà definito da alcuni ‘porno’, un video che riprende Sreenath e Anita, la sua ragazza (nonché compagna di università), che amoreggiano in maniera spinta in un parco. Appa e Amma, del tutto inesperti delle nuove tecnologie, sono inorriditi e scioccati. Come ha potuto il loro figlio comportarsi così? E la ragazza? Oltretutto si vergognano, perché che spiegazioni potranno dare ad amici e parenti, quando questi verranno a sapere? Perché di certo la notizia è troppo ghiotta, sa troppo di scandalo piccante e pruriginoso, per non diffondersi a macchia d’olio.

   La famiglia di Anita sembra essere l’ultima a sapere. E il padre e la madre si presentano in casa di Sreenath…


   Noi sappiamo tutta la storia dalla voce del fratello minore, un punto di vista ideale perché è diviso fra la comprensione e, sì, la compassione per Appa e Amma, e la solidarietà, insieme ad un pizzico di invidia, per il fratello maggiore. È una voce simpatica e ironica che spesso ride di se stesso, che, tutto sommato, ammira l’audacia del fratello e vorrebbe imitarlo (con scarso successo, perché forse è troppo ‘imbranato’ per attirare l’attenzione di una ragazza). Da lui cogliamo la spaccatura tra due Indie, quella tradizionale, delle ragazze in sari, dei matrimoni combinati con gli sposi che a volte neppure si sono mai incontrati prima, dei tuk tuk che a poco prezzo ti trasportano da una parte all’altra della piccola città, Trivandrum, nel Kerala, e l’India moderna, che è quella dei giovani che sono cresciuti con le nuove tecnologie e gli smart-phones, delle ragazze che indossano i jeans, vanno all’università, fanno coppia con i ragazzi, hanno atteggiamenti impensabili al tempo dei loro genitori.

    C’è una escalation nella vicenda dello scandalo per la diffusione in rete del video e nello stesso tempo cresce nel fratello minore il desiderio di scappare, di evadere da questo ambiente asfittico. Mentre sia Sreenath sia Anita sono andati a convivere, mentre i genitori di Anita esigono quello che un tempo si sarebbe chiamato ‘un matrimonio riparatore’ per poter poi minimizzare la scenetta erotica, mentre Appa disconosce il figlio maggiore, lui, il figlio minore, smette di cercare un lavoro in posti il più lontano possibile (è divertente come prenda in giro se stesso in questa ricerca che sa non lo porterà da nessuna parte), prende un autobus per Bangalore.


   E poi? Sono felici, da sposati, Sreenath e Anita? Qualcuno è riuscito a far cancellare il video dai vari siti su cui accumula visualizzazioni? La scena nell’ufficio della polizia è un quadretto divertente dell’indice dei tempi. Anche il finale è uno specchio dei tempi e dei nuovi mezzi di comunicazione: Magari un giorno ci aggiungeremo tutti su Facebook e ci comporteremo da amici.



lunedì 29 aprile 2024

Annick Emdin, “Io sono del mio amato” ed. 2024

                                                                      Casa Nostra. Qui Italia

                 love story

Annick Emdin, “Io sono del mio amato”

Ed. Nord, pagg 240, Euro 17,00

 

Io sono del mio amato e il mio amato è mio; egli pascola il gregge tra i gigli.

Sono bellissimi questi versi del “Cantico dei cantici” che troviamo in apertura del romanzo di Annick Emdin e poi li ritroviamo in chiusura nell’andamento circolare della storia della famiglia Kogan che inizia con un matrimonio e termina con un altro matrimonio- è il cerchio che si chiude, simboleggiato dagli anelli nuziali in cui è inciso il verso e che passano dalla mano del nonno a quella del nipote e della sua giovane moglie.

    Teniamo a mente questi versi, perché ci promettono amore eterno in una storia che è anche piena di dolore e di tragedia, di morte e, sì, anche d’amore, di una duplice forma di amore spesso difficile da conciliare.

Sono due anche i tempi della narrazione, nel passato e nel presente in cui la storia di una famiglia si inserisce nella grande Storia.


    Boryslav, uno shtetl in Ucraina, 1941. Chaim Kogan ha appena spaccato il bicchiere sotto i piedi, come vuole il rito della cerimonia, la musica inizia a suonare, ma lui non fa neppure a tempo a baciare la sua novella sposa- un proiettile le ha trapassato la schiena.

Leggerete come Chaim riesca a scampare alla carneficina e che cosa ne sarà di lui nei terribili anni fino alla fine della guerra e come riesca ad arrivare in un kibbutz nella Terra Promessa. Non è più il giovane sposo che ha visto infrangersi i suoi sogni, Chaim ha anche imbracciato un fucile, ha aggiunto altri morti a quelli intorno a lui. Poi l’incontro con una donna, bellissima, che risveglia in lui un ricordo lontano. Per lei Chaim diventa uno charedi, un ebreo ultraortodosso, ritrova una fede che credeva di avere perduto.


    Gerusalemme 1995. Levi Kogan è uscito da Mea Shearim- non lo faceva quasi mai- per cercare un libro di note al Talmud. Guarda con curiosità gli altri passeggeri dell’autobus- sono tutti così diversi dagli ebrei vestiti di nero, con il cappello a larga falda e i riccioli a lato del viso, che si incontrano nelle strade di Mea Shearim e che sono esattamente come lui. Per non parlare delle donne che addirittura lo guardano negli occhi.

Poi un clic, la soldatessa bionda che gli aveva sorriso lo spinge contro la porta dell’autobus, gli fa scudo con il suo corpo. L’esplosione. Lei gli ha salvato la vita.

   A volte succedono cose, nella vita, che servono (sembra un gioco di parole) da detonatore, che fanno venire alla luce qualcosa che già era dentro di noi. Levi sente che non è sufficiente pregare e leggere i testi sacri, che non è giusto delegare agli altri la sopravvivenza di Israele, che deve anche lui arruolarsi.


   Nei capitoli del passato la storia di Chaim che prima rinnega un Dio che ha permesso Auschwitz e poi Lo ritrova in un estremismo religioso, in quelli del presente la storia di Levi, un Candide (o il John che arriva nel “Coraggioso Nuovo Mondo” di Huxley) che si lascia la famiglia alle spalle per scoprire una realtà di cui non sapeva nulla, che lo riempie di entusiasmo e di ammirazione e anche di sconcerto. E scopre anche l’amore.

   Tutto è bene quel che finisce bene, nelle parole del titolo della commedia di Shakespeare. Il finale è un poco banale e semplicistico, ma il libro offre spunti di riflessioni sulla storia passata d’Europa, sul genocidio degli ebrei, sulla stessa esistenza di Dio, sulla capacità di risorgere dalle ceneri, sulla licenza di uccidere che sembra essere data ai soldati, sugli estremismi religiosi e politici, sull’amore, infine. Su quell’amore che supera ogni egoismo, l’amore tra coniugi, tra genitori e figli, tra nonni e nipoti.

Io sono del mio amato e il mio amato è mio; egli pascola il gregge tra i gigli.

                                             



 

 

venerdì 26 aprile 2024

Eleonora Lombardo, “Sea Paradise” ed. 2024

                                                                   Casa Nostra. Qui Italia

                 distopia

Eleonora Lombardo, “Sea Paradise”

Ed. Sellerio, pagg 272, Euro 16,00

     Ho provato la stessa emozione, lo stesso entusiasmo, leggendo il romanzo “Sea Paradise” di Eleonora Lombardo, che provai molti, anzi moltissimi anni fa, quando lessi per la prima volta “1984” di Orwell e “Coraggioso nuovo mondo” di Huxley. Per l’inventiva e la lucidità, per la ricchezza di dettagli che rendono del tutto credibile la prospettiva di un mondo futuro, la trasformazione del nostro ormai vecchio mondo in un altro in cui tutto è rinnovato e cambiato.

    Siamo in un imprecisato futuro, dunque. Sea Paradise è il nome di una gigantesca nave da crociera che contiene in sé una doppia promessa. La prima promette un viaggio paradisiaco (sarà di otto giorni e sette notti) con l’offerta di tutti i possibili piaceri del vecchio mondo, “mangiare, bere, fare qualunque cosa lecita e illecita”. La seconda promessa, nascosta dietro la prima, è quella di trovare un paradiso in mare, di fare un viaggio senza ritorno. I partecipanti lo sanno benissimo ma preferiscono non pensarci. E poi non è detto che capiti proprio a loro, di terminare questa volta la loro vita. Sapremo poi che la scelta delle persone ‘a termine’ viene fatta in base alle loro condizioni di salute, ai possibili costi futuri per il loro mantenimento che peserà sullo Stato. In pratica farà più giri, più crociere, chi costa di meno allo Stato, per un massimo di dieci. È una strategia di contenimento energetico del pianeta e forse non è neppure la maniera peggiore di abbandonare la scena.


      Elvira ed Amanda sono due amiche che hanno compiuto da poco settant’anni. Hanno due personalità opposte- Elvira razionale e severa, è stata un’insegnante, ha avuto un marito e due figli; Amanda è amabile di nome e di fatto, leggera come una farfalla, ha fatto l’attrice di teatro, ora l’Alzheimer l’ha resa smemorata, ma in una maniera ariosa e leggera. Sono amiche come non ce ne sono più nel nuovo mondo dove le amicizie sono improntate alla collaborazione, dove si diventa soci per un obiettivo comune. È Elvira che ha deciso di iscrivere entrambe alla crociera, proprio per accompagnare Amanda in questo viaggio. Non che avessero molta scelta. A settant’anni si è vissuto e si è dato abbastanza, secondo la politica attuale. A settant’anni si è un peso e lo Stato offre questa fantastica crociera. C’è la libertà di non accettare, ma in tal caso non avrà più nessun supporto dallo Stato- niente cure mediche, niente ricoveri in ospedale, non potrà tenere neppure la casa in cui abita, perché servirà a qualche coppia giovane.


   Amanda ed Elvira salpano sulla Sea Paradise. La descrizione della vita a bordo, di tutti i piaceri a disposizione, degli Impeccabili che sono al loro servizio (privandole peraltro di ogni libertà), degli altri ospiti che impariamo a conoscere anche noi (Il brillante anziano che Elvira soprannomina Achille, l’imponente Julie che è lesbica e si trova una compagna in un ultimo amore, i gemelli italiani, l’antipatico Diego), è piena di inventiva e resa in colori così vividi che anche noi lettori abbiamo l’impressione di essere a bordo.

    Mentre un giorno scivola in un altro, mentre Elvira osserva che ogni tanto qualcuno scompare, quello che succede a bordo della nave che solca il mare- eterna metafora di vita-, la maniera in cui la sorte (o meglio lo Stato o un computer che elabora i dati) decide chi farà questa unica crociera e come passerà (senza accorgersene, godendo della vita fino all’ultimo) nell’aldilà, creano in noi un’aspettativa intrigante. E i capitoli delle attività giornaliere, con i ‘ruoli’ assegnati ad ognuno perché siano impegnati (Elvira è guardiana delle farfalle), con le stravaganti richieste di Amanda del cibo che più le piace, si alternano a brevi capitoli sulle norme che regolano la crociera, i Protocolli diversamente numerati. È un’alternanza di forte contrasto- l’allegria e il divertimento da una parte, la fredda razionalità e il cinismo dall’altra.


    Se dovessi fare un paragone, questo Stato del futuro che si contrappone- e con un certo rimpianto- a quello del passato, assomiglia al paese degli Houyhnhnms, i cavalli intelligenti, razionali e perfetti, dove arriva Gulliver nel suo ultimo viaggio. Perfino le disposizioni sulla famiglia e sulla procreazione nel nuovo mondo assomigliano a quelle decise dagli Houyhnhnms per evitare il sovrappopolamento.

    Un romanzo che ha il carattere della novità, che offre molti spunti di riflessione sulla ‘terza età’ (invecchiare vuol dire aver paura dell’attimo dopo) senza mai comunicare tristezza, con un doppio finale per le due amiche. Sembra tutto impossibile? Ricordiamo che cosa hanno anticipato Orwell e Huxley nei loro libri.

Da leggere.