Voci da mondi diversi. India
cento sfumature di giallo
Sujata Massey, “La signora di Bhatia House”
Ed.
Neri Pozza, trad. Laura Prandino, pagg. 520, Euro 19,00
Ritorna Perveen Mistry, l’unica donna avvocato di Bombay. È stata invitata ad un tea party di beneficenza a Bhatia House. C’è un’atmosfera di esultanza tra le signore che sfoggiano i loro sari più belli. Ci sono grandi aspettative sul modo in cui verranno usati i soldi raccolti (alcune signore hanno donato gioielli non volendo chiedere soldi ai mariti)- sarà costruito un ospedale per le donne. E ce n’è un bisogno disperato in un paese in cui le donne non rivelano una malattia o altri problemi femminili ad un dottore uomo. In particolare- e questa è l’attrattiva maggiore del libro- si porta alla luce il dramma dell’usanza delle spose bambine il cui utero non è pronto per affrontare una gravidanza per cui l’esito di questa è spesso fatale, sia per la mamma sia per il bambino. L’altro grande problema è connesso con questo- nell’impossibilità di negarsi al marito, le donne hanno una gravidanza all’anno e la mortalità delle donne e soprattutto dei bambini è molto alta.
Il party verrà interrotto per un incidente
che sarebbe potuto finire molto male. Il piccolo e vivacissimo Ishan Bhatia,
unico figlio maschio del primogenito di casa, viene avvolto all’improvviso
dalle fiamme- sono stati i lumini accesi dappertutto in giardino a causare
l’incendio? Si salva grazie alla sua ayah, Sunanda, che rimane seriamente
ustionata. Quello che accadrà dopo ci fa dubitare che si sia trattato di un
banale incidente. Sunanda viene mandata via con ben poco riguardo per le sue
ustioni nonostante le raccomandazioni di Perveen e della sua amica medico e
poco dopo Perveen viene a sapere che è stata arrestata. La denuncia, fatta alla
polizia da una persona che non ha lasciato un indirizzo, è piuttosto fumosa. La
ragazza avrebbe bevuto un infuso per abortire. Tutto è strano in questa
denuncia. Sunanda non è sposata, con pudore nega di aver mai avuto rapporti.
Eppure, eppure, deve essere stata traumatizzata. È stata stuprata? come?
quando? Nella società indiana del 1922 (non sono certa che da noi sarebbe stato
diverso) come può una ragazza parlare di mestruazioni davanti ad avvocati
dell’accusa uomini? E a Perveen non è permesso prendere la parola in tribunale.
La trama segue più di un filone. Perveen cerca di scoprire chi vuole che Sunanda resti in prigione e che cosa è successo il giorno in cui l’ayah ha accompagnato i bambini alla festa organizzata dal nawab (fresco di matrimonio con un’australiana). Nello stesso tempo muore per avvelenamento da piombo il capofamiglia dei Bhatia- quali interessi sono in gioco, quali appalti si stanno contendendo i magnati di Bombay? Perfino l’inglese di cui Perveen è innamorata è stato incastrato in un lavoro che implica una possibile rivendicazione di terre da parte dei colonizzatori britannici.
Una sottotrama che coinvolge la cognata di
Perveen riporta l’attenzione alle problematiche femminili. Gulnaz ha partorito
da poco e non sopporta il pianto estenuante della neonata (anche Perveen è
piuttosto infastidita, a dire il vero), litiga con il marito di cui rifiuta le
attenzioni e, senza neppure vestirsi, ordina all’autista di riportarla a casa
dei suoi genitori- con le conoscenze mediche maggiori, oggi sappiamo che sta
soffrendo di una depressione post-partum.
Se ci aspettiamo da “La signora di Bhatia
House” un thriller ‘forte’, saremo delusi. È piuttosto un mystery gentile con i
toni pacati dei gialli di altri tempi, senza brividi e con qualche prevedibile
sorpresa. Quello che è veramente interessante, però, è il risveglio di una
presa di coscienza dei problemi delle donne, sottovalutati e trascurati in una
società in cui le donne hanno ben poca importanza, in un’India che si sta
risvegliando nella scoperta dei soprusi britannici, mentre gli indiani sono stanchi
della discriminazione- una sorta di Apartheid ante litteram, mentre Gandhi
esorta alla non violenza dalla prigione.