eventi
incroci di civiltà
Binyavanga Wainaina, “Un giorno scriverò di questo posto”
Ed. 66thand2nd, trad. Giovanni
Garbellini, pagg. 289, Euro 18,00
Titolo originale: One Day I Will Write About This Place
Ora è crollato il Muro di Berlino
e le nostri grandi università, dove i ricchi e chi usciva dalla povertà erano
finalmente pari, sono sparite.. anche quelli che hanno i soldi non possono
permettersi granché. Non erano preparati a questo. Le cose accadono
all’improvviso. In tutto il mondo ci sono rivolgimenti enormi da un giorno
all’altro. Prevale un senso di panico. E’ possibile credere a quello che
promette Geldof, cioè che l’Africa finirà per sprofondare in un buco enorme. Il
progetto volto a creare gente come noi sta finendo. Adesso, chi ha cresce, e
chi non ha resta indietro. Chi ha se ne può andare. Alcuni genitori vendono i
loro averi più preziosi per mandare i figli all’estero.
Stephen ne “Il ritratto d’artista da
giovane” di James Joyce, il protagonista del delizioso “Il cane che abbaiava
alle onde” di Hugo Hamilton: ci ricorda queste voci quella di Binyavanga
Wainaina nella parte iniziale del suo libro di memorie, “Un giorno scriverò di
questo posto”. Ed è singolare che ognuno di questi tre scrittori abbia cercato
la sua strada lontano dal luogo dei ricordi per poi tornare, o non tornare,
come Joyce che visse per sempre lontano dalla sua Irlanda per scriverne però in
tutti i suoi romanzi. Come ne scrive Wainaina in questa autobiografia che è,
allo stesso tempo, la sua storia e quella del Kenya fra gli anni ‘70 e il tempo
attuale.
Binyavanga ha sette anni nel 1978, quando
iniziano i suoi ricordi. Il fratello maggiore ne ha undici, la sorellina Ciru
cinque e mezzo ma è così intelligente che frequenta la stessa classe di Binyavanga.
Nascerà poi un’altra sorellina ma è con Ciru che Binyavanga resterà più legato,
come negli anni in cui pensava a lei come alla sua gemella. Un nome insolito,
Binyavanga, e non solo per noi europei- lo scrittore ci racconterà di uno
scontro verbale al check-in di un aeroporto perché il suo nome aveva destato
sospetti sulla sua provenienza. Così
come ci racconterà dell’usanza in Kenya di dare al secondogenito il nome del nonno materno, senonché
a questi, essendo ugandese, era parso strano avere un nipote che si chiamava
Binyavanga, come lui. In un paese dalle molte tribù che hanno un grande peso
nella vita politica, Binyavanga Wainaina è figlio di padre kenyota e madre
ugandese, la sua lingua madre è lo swahili e naturalmente conosce l’inglese,
visto che il Kenya è stato colonia britannica dalla fine dell’800 fino
all’indipendenza nel 1963. Soltanto nel 1995, per la prima volta, Binyavanga si
reca in Uganda con la famiglia, per festeggiare l’anniversario delle nozze dei
nonni. “Sono cresciuto ascoltando i suoi miti, le sue leggende e i suoi orrori,
narrati con l’intensità che sa trovare soltanto chi vive in esilio”, e questo raduno, che vede tornare figli e figlie dalle diverse
parti del mondo dove sono approdati, è una grande emozione, è l’esaltazione
della forza dei legami famigliari. Uganda, Rwanda, Sudan, e poi il Sudafrica
dove Binyavanga va a studiare: da queste pagine in cui troviamo, mescolate,
esperienze diverse, esce fuori il profumo, o il puzzo, del calderone
dell’Africa. Soltanto la prima parte del libro ha pagine leggere, come si
addice ai giochi dell’infanzia.
|
il presidente Moi |
Poi l’atmosfera si fa più cupa, con la morte
del presidente Kenyatta e l’elezione di Moi il cui governo diventa sempre più
ambiguamente corrotto, mentre sempre più suoi fedeli o leccapiedi si fanno
strada nella società del paese. Crolla il livello dell’istruzione pubblica, il
merito non è più il passaporto per l’ingresso nelle scuole migliori, Binyavanga
si iscrive all’università di Transkei in Sudafrica. E si perde, come avviene
spesso ai giovani universitari di qualunque paese. Sono pagine in cui ci parla
di folli letture, di isolamento in una stanza sporca di cui non paga l’affitto,
di droga, di una vergogna nascosta per cui non ha il coraggio di farsi vivo con
i genitori. Si parla però anche di politica, della fine dell’apartheid, di
Mandela libero, di Moi che continua a imperversare in Kenya. E anche di musica,
di Brenda Fassie, la scandalosa cantante in cui ‘sesso e lotta politica si
incontrano’. Si ricorda l’insurrezione dei Mau-Mau, la montagna di cadaveri
nella Zululand. Quando Binyavanga ritorna in Kenya, il contrasto non potrebbe
maggiore. C’è una pesante aria di stanchezza nel paese: “Dopo gli scioperi e le
battaglie del Sudafrica, che coinvolgevano tutti, questo luogo sconfitto è
difficile da reggere.” E tuttavia per lui il ritorno è una spinta a cambiare, a
raddrizzarsi e riprendere il controllo della sua vita tenendo d’occhio la meta:
diventare uno scrittore.
|
Mombasa |
Non è un libro facile, “Un giorno scriverò
di questo posto”. Perché non è facile parlare di sé e del proprio paese quando,
pur essendo una personalità di rilievo come è diventato Wainaina, si è ancora
giovani. Forse mancano le distanze da quanto si è vissuto, forse c’è troppo da
dire e ci sarebbe troppo da spiegare per lettori che non sono familiari con la
storia sociale e politica del Kenya. Intuiamo pure, leggendo il libro, che
Wainaina deve aver piegato la lingua per un suo uso originale che noi non
riusciamo a cogliere interamente nella traduzione.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
lo scrittore Binyavanga Wainaina
Nessun commento:
Posta un commento