Voci da mondi diversi. Asia
Ru Freeman, “Come petali nel vento”
Ed. Piemme, trad. Maria
Bastanzetti, pagg 546, Euro 19,00
Titolo originale: On Sal Mal Lane
Il
sal mal è un albero che cresce nel subcontinente indiano- è chiamato anche
‘albero di Budda’ perché Budda venne alla luce sotto i suoi rami, ha fiori
delicati di un rosso aranciato e può raggiungere anche i 35 metri di altezza. “On
Sal Mal Lane” è il titolo originale del romanzo di Ru Freeman (bella
l’allitterazione nelle brevissime parole) che in italiano è diventato, invece,
un banale e inappropriato “Come petali nel vento”. E i personaggi del romanzo
vivono in questo ‘vicolo dell’albero di Budda’ di Colombo, nello Sri Lanka,
illuminato dai fiori degli alberi di sal mal che crescono in ogni giardino.
E’ il 1979 quando la famiglia Herath si trasferisce a vivere in Sal Mal
Lane. E’ la famiglia perfetta. Il padre è un funzionario, la madre insegnante,
i quattro figli, due maschi e due femmine, sono obbedienti, intelligenti,
belli, rispettosi. Sono cingalesi buddisti, aperti e generosi. Fanno
immediatamente amicizia con tutte le altre famiglie che abitano in Sal Mal
Lane, mandano i figli a lezione di musica in una casa tamil, lasciano che le figlie
frequentino due ragazzine burgher (di ascendenza mista, bianca e tamil) anche se
queste sono sporche, rozze e straccione, regalano talee ai vicini che tendono a
starsene per conto loro, permettono alla figlia più piccola, di sette anni, di
stringere amicizia con un uomo non del tutto normale, triste, solo e molto
buono che vive con la madre vedova. Sal Mal Lane cambia in meglio, dopo
l’arrivo degli Herath. Favoriscono i sentimenti di una serena convivenza anche
se, come è inevitabile, suscitano invidia negli spiriti meschini che covano
malanimo nei loro confronti perché sono ‘troppo’ tutto. Tranne che verso la
piccola Devi (un nome uguale per tamil e cingalesi). Tutti amano Devi, un
folletto che non riesce a stare ferma. Tutti sembrano voler proteggere Devi
perché gli astrologi hanno predetto che non vivrà a lungo come succede a quelli
che nascono il giorno 7 di un qualunque mese dell’anno.
E, nei quattro anni in cui
seguiamo le vicende dei personaggi, sono due le tragedie annunciate fin
dall’inizio, una specchio dell’altra, una privata e una dell’intera nazione.
Tra il 1979 e il 1983, nelle storie che racconta di quello che avviene in Sal
Mal Lane, Ru Freeman aggiunge dei piccoli tocchi che ci fanno presagire il
peggio- l’aquilone di Devi abbattuto, le ribellioni dei ragazzi che crescono e
non si piegano più alle scelte di vita fatte dai genitori per loro, le voci che
arrivano e che parlano della minaccia delle Tigri tamil, la biblioteca di
Jaffna, nel Nord, incendiata da cingalesi, Devi che si ferisce alla testa
giocando a cricket, le schermaglie al governo.
Finché vengono uccisi tredici
soldati cingalesi e la rivolta esplode. Come è successo agli ebrei in Germania,
come è successo nella guerra tra serbi e bosniaci, come è successo in tutte le
guerre civili in cui gli amici diventano improvvisamente nemici, la furia contro
i tamil divampa nelle strade di Colombo. Si incendiano case, si distrugge, si
saccheggia, si uccide. La violenza raggiunge anche Sal Mal Lane dove, però, i
semi dell’amicizia piantati dagli Herath danno i frutti e le case ‘sicure’
vengono aperte per dare ospitalità alle famiglie tamil della strada. Ma ci sono
delle conseguenze. Inutile porsi gli interrogativi che incominciano con ‘se…’.
Non si sfugge al destino, come dice l’antichissima storia dell’appuntamento con
la morte a Samarcanda.
Nihil si aggrappò alle sbarre della finestra, la pelle delle nocche
bianca e tirata. “Secondo te se avessimo i fucili dei Silva potremmo fermarli?”
chiese al fratello.
“Noi non siamo tipi da fucili” fu la risposta di Suren.
“Ma se li avessimo? Se qualcuno ce li desse? Se potessimo andare a
prendere quelli dei Silva, pensi che Tha fermerebbe questi uomini?”
insistette Nihil.
“Forse” disse Suren dopo averci riflettuto un attimo. “Ma è proprio quel
tipo di gente, gente con i fucili, che si prepara per la guerra. Io preferisco
essere come siamo noi.”
La scelta di Ru Freeman, di creare in una
strada un microcosmo della piccola isola conosciuta anche come ‘lacrima
dell’India’ per la sua forma particolare, non è nuova. Pensiamo a “Vicolo
Cannery” di Steinbeck, a “Se Beale Street potesse parlare” di James Baldwin, al
più recente “Brick Lane” di Monica Ali che hanno già sfruttato questa
situazione. E tuttavia ogni strada è un mondo a sé, lo sarebbe nella stessa
città, lo è tanto più in paesi con una realtà storica e sociale diversa. Inoltre
Ru Freeman guarda il vicolo dell’albero di Budda e i suoi abitanti dal punto di
vista dei ragazzini Herath che non sanno capacitarsi, nella loro innocenza,
delle correnti di inimicizia che avvertono, che pensano che giocare insieme,
scambiarsi i dolci nelle festività delle religioni professate dalle varie
famiglie, farsi piccoli regali, siano un pegno di pace. Pensano che la bellezza
della musica (il concerto che hanno organizzato in segreto è uno dei momenti
importanti che vede tutti riuniti ad ascoltarli) possa portare armonia nei
cuori- tra di loro e tra le diverse etnie del paese. Sbagliano.
Ru Freeman ha il dono di scrivere in punta di penna un capitolo della
storia luttuosa dell’umanità. Di certo non dimenticheremo nessuno dei suoi
personaggi, meno che mai quello che rappresenta la vittima sacrificale offerta
al dio della guerra- anche se in realtà è stata la sua fame di vita ad
ucciderla, e non la guerra.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
la scrittrice Ru Freeman
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