cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
in breve
Raymond Chandler, “Il grande sonno”
Ed. Feltrinelli, trad. Oreste Del
Buono, Euro 8,50
Raymond Chandler è un mito nella letteratura di genere. E’, per
eccellenza, lo scrittore di romanzi ‘hard-boiled’ sulla scia di Dashiel
Hammett. Di lui Chandler, nel saggio “La semplice arte del delitto”, ha
scritto: “Hammett ha restituito il
delitto alla gente che lo commette, e non semplicemente per fornire un cadavere
ai lettori; e con mezzi accessibili, non con pistole da duello intarsiate,
curaro e pesci tropicali.” La frecciata alle signore del giallo, Agatha
Christie, Dorothy Sayers, o all’americano S.S.Van Dine, è chiara. Basta con i
delitti garbati, il crimine è una faccenda sporca, restituiamogli la sua
lordura, il sangue, la brutalità, il linguaggio della malavita. Un
investigatore è uno sleuth, una
pistola è una gat. Basta indugiare su
descrizioni di camere chiuse, non c’è tempo per questo quando l’azione è
incalzante, come nel tipo di vita dove si spara e si ammazza senza riguardo a
nessuno. Prevale il dialogo, nei romanzi di Raymond Chandler- perfetto per gli
adattamenti sul grande schermo. E infatti molti dei suoi libri diventarono
film.
Humphrey Bogart ne "Il grande sonno" |
Ho preso in mano “Il grande sonno”, del 1939, dopo aver letto il romanzo
di John Banville/Benjamin Black “La bionda dagli occhi neri” in cui lo
scrittore irlandese fa rivivere Philip Marlowe, leggendario quanto il suo padre
letterario. La trama ha inizio quando un uomo molto ricco e molto anziano chiede
l’aiuto di Marlowe per bloccare un tentativo di ricatto che gli è stato fatto.
Il vecchio generale è facilmente passibile di ricatti: ha due figlie belle e
viziate, la minore, poi, è una ninfomane che si droga di etere e si lascia
fotografare nuda. Quando Philip Marlowe arriva sulla scena, succede di tutto, i
morti non si contano, le persone che scompaiono volontariamente o vengono fatte
scomparire, neppure. Tra le persone scomparse c’è anche uno dei mariti della
figlia maggiore del generale, un genero che il vecchio amava molto, un tal
Rusty Regan che aveva anche combattuto nelle fila dell’IRA in Irlanda (Marlowe
accenna a lui ne “La bionda con gli occhi neri”- un richiamo che è una mossa
astuta da parte di Banville). Il finale è uno spot di luce sul carattere di
Philip Marlowe, un po’ beone, molto donnaiolo, veloce con la pistola, ma anche
molto umano e con un codice etico personale.
Che importanza aveva dove giacevi una volta
che eri morto? In uno sporco pozzo di scarico o in una torre di marmo in cima
ad una collina? Eri morto, dormivi il grande sonno, non ti preoccupavi di
quelle cose lì. Petrolio ed acqua erano lo stesso per te, come fossero vento ed
aria. Stavi solo dormendo il grande sonno, senza curarti della bruttura di come
eri morto o dove tu fossi caduto. Io, adesso, facevo parte della bruttura.
Premetto di avere letto in originale “The big sleep” e il linguaggio è
la prima cosa che mi ha colpito, del tutto differente da quello usato da
Banville che, però, ho letto invece nella traduzione italiana. Quello di
Banville è più ‘gentile’, pur restando secco e brusco. Tutto il romanzo di
Banville è più ‘gentile’, a ben vedere. Ciò non toglie che John Banville si sia
calato perfettamente nei panni del personaggio non suo e lo abbia quindi fatto suo, con qualche impercettibile ritocco.
Confesso: a me è piaciuto di più il Philip Marlowe tornato in vita come
Lazzaro. Questione di gusti.
lo scrittore Raymond Chandler
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