mercoledì 12 marzo 2014

Intervista a Eshkol Nevo, autore di "La simmetria dei desideri"- 2010

                                                   Voci da mondi diversi. Medio Oriente
                                                            il libro ritrovato

        INTERVISTA


Il nonno dello scrittore Eshkol Nevo era Levi Eshkol, che fu primo ministro in Israele dal 1963 al 1969. Il nome di Levi Eshkol è stato fatto di recente da Amos Oz, a proposito dell’attacco israeliano alla nave di soccorsi umanitari ai palestinesi di Gaza. Non era ancora successo nulla quando abbiamo incontrato lo scrittore- ci sarebbe piaciuto parlarne con lui, e invece abbiamo parlato solo di letteratura, del suo nuovo romanzo “La simmetria dei desideri”.


Il suo romanzo precedente, “Nostalgia”, era un romanzo a più voci: perché preferisce i romanzi polifonici?
      In realtà questo romanzo non è propriamente polifonico, c’è un solo narratore. Ma è vero che mi piacciono i romanzi con più voci: non riesco a pensare che qualcuno abbia la verità nelle sue mani. Inizio con un narratore che dice quello che sa e con qualcuno che dice il contrario. Qui c’è un narratore ma è democratico, non è nel centro, dà spazio anche alle voci dei suoi amici e solo alla fine si mette nel centro della vicenda. Ci vuole più tempo per lui per trovare la sua voce: non tutti crescono alla stessa velocità, non tutti diventano maturi alla stessa età.

L’effetto straordinario del suo romanzo è creato proprio dal fatto che c’è solo un narratore, eppure è capace di farci sentire le altre voci. Inoltre, nella nota introduttiva scritta dall’avvocato Yoav Alimi, uno dei quattro amici, veniamo avvisati che non dovremmo credere sempre a quello che il narratore Yuval dice. E’ diverso il linguaggio usato da ognuno dei quattro personaggi? E come è iniziato il tutto, nella sua mente?
    La differenza fondamentale è quando un gruppo di uomini si trova insieme e il loro ebraico è un ebraico da strada, molto colloquiale. E tra di loro non ci sono discussioni profonde. Però nel libro do anche ad ogni personaggio la possibilità di essere a tu per tu con un altro e di mostrare una diversa percezione della vita. Allora il loro ebraico cambia, si fa più sofisticato. Yuval non è superficiale: quando si incontra con i suoi amici parlano uno slang, quando invece pensa o parlano di cose importanti, cambia anche la lingua in cui si esprimono. E’ come nella musica ed è stata un’esperienza di scrittura interessante. Com’è iniziato? Con un romanzo del tutto diverso, un romanzo che mi ha tenuto impegnato per un anno, basato sulla tensione erotica tra una donna e un uomo che abitano insieme, ma fanno sesso solo alla fine- una scena lunga 15 pagine che mi sono divertito a scrivere. Poi all’improvviso mi sono interrotto e non l’ho mai finito: non era abbastanza importante. C’era la gioia tecnica della scrittura, ma solo quella. Un testo deve avere un cuore, devi voler dare qualcosa scrivendo. Ero disperato. E stanco. Allora ho iniziato una storia breve su qualcosa che era veramente successo: nel gruppo dei miei amici avevamo veramente scritto dei bigliettini con i nostri desideri. Dopo due settimane ho capito che questo era un romanzo: mi piacevano i personaggi e volevo stare con loro. Non ho mai avuto un’esperienza così bella come lo scrivere questo libro, anche quando scrivevo le parti più tristi. Mi pareva di scrivere di qualcuno che conoscevo bene.

In tre dei libri che ho letto di recente c’è uno sport che gioca un ruolo importante. Che cosa c’è nel calcio che riesce a creare un legame tra le persone? E perché il tifo sportivo è una cosa soprattutto maschile?        

      Non saprei proprio perchè sia uno sport che piace soprattutto agli uomini: quando sono andato a vedere una partita con mia moglie si è divertita…Il football nel libro è una scusa, è una scusa degli amici per incontrarsi. E’ importante vedere il football da una prospettiva israeliana: gli israeliani giocano malissimo a calcio, ma loro quattro fantasticano di festeggiamenti ogni quattro anni. E’ una metafora della necessità degli israeliani di far parte del mondo normale, di essere accettati dagli altri paesi. Perché questa è la realtà: non siamo ben accetti a tutte le nazioni. C’è qualcosa di patetico nell’approccio di Israele al football: siamo appassionati di calcio ma facciamo schifo come giocatori.

Abbiamo letto spesso dell’effetto tranquillizzante che hanno i giardini giapponesi, ma è la prima volta che mi capita di leggere delle qualità di un giardino Bahai: me lo può spiegare meglio?
       Un giardino Bahai è un luogo fantastico. Il titolo a cui avevo pensato era “Come un giardino Bahai”. Ma non sarebbe stato abbastanza chiaro per tutti i lettori. In mezzo a Haifa c’è una comunità di credenti della religione Bahai- sono un tipo di musulmani. L’espressione più vivida del loro credo è il giardinaggio: un giardino Bahai ha un ordine molto simmetrico, simile a quello dei giardini inglesi. Io vivevo vicino ad un giardino Bahai- questa simmetria mi pareva un mistero. Perché è così importante per loro? 
                                        

L’ho capito mentre scrivevo. Uno scrittore è come un Bahai: prende la realtà e cerca di fare un lavoro estetico con quella. Scrivere è dare forma estetica alla realtà e capire il caos della vita. La bellezza ha un significato nella vita. Dopo che Yuval capisce che non starà mai con Yaara, cerca un nuovo significato nella vita: vuole fare qualcosa di estetico, scrivere un libro. I Bahai dicono che i giardini ti influenzano come la musica. Sono così belli che non puoi resistere. Yuval cerca di creare l’armonia ma alla fine non ne è capace: cerca di vedere la bellezza, di dare una forma alla realtà.

Ad intervalli leggiamo nel libro degli estratti della tesi di filosofia di Yuval, sui “Filosofi che hanno cambiato idea”. Il libro è un romanzo sul cambiare, sulla necessità di adattarsi ai cambiamenti?
     Oh, finalmente qualcuno mi chiede degli estratti di filosofia! In Israele mi è capitato spesso che mi dicessero che li avevano saltati, leggendo, per l’ansia di sapere di più sui personaggi…E sì, assolutamente sì, è un romanzo sul cambiamento. La domanda base è: si può cambiare? E che cosa succede quando le persone cambiano? Il mio narratore scrive dei filosofi che hanno cambiato idea. Se capisce questo momento di cambiamento, forse anche lui sarà capace di cambiare: finora è rimasto lì, fermo per tre anni al suo amore per Yaara che non lo vuole. Forse capirà che cosa è che fa cambiare le persone. Ho dovuto studiare per scrivere questi estratti, perché nei miei studi precedenti la filosofia non era inclusa. E poi sottometterli ad un professore di filosofia, e riscriverli…

Yoav Alimi, che gli amici chiamano Churchill, sottolinea parecchie volte quanto gli sia necessaria l’amicizia del narratore Yuval: sono due personaggi complementari?
     Quella tra Yuval e Yoav è l’amicizia più forte e interessante. Soffre dei danni per il tradimento di Yoav ma, se torniamo al momento quando è iniziata, capiamo perché è così unica. Erano ad un campo prima del servizio militare e a nessuno dei due l’esperienza piaceva. Yuval aveva raccontato una barzelletta e uno solo tra i presenti l’aveva capita- era Yoav. Ecco, quando ti trovi in una stanza piena di gente e nessuno capisce il tuo humour e nessuno tranne uno ride ad una tua barzelletta- ebbene non si può rinunciare all’amicizia con quell’uno. E’ una tale potenza nella vita avere vicino qualcuno così: anche se la tua ragazza ti spezza il cuore, non si rinuncia ad un momento di totale comprensione reciproca. Bisogna far tesoro di questi momenti nella vita.

l'intervista è stata pubblicata su www.wuz.it                    
















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