Voci da mondi diversi. Medio Oriente
fresco di lettura
Raja Alem, “Il collare della colomba”
Ed. Marsilio, trad. Maria Avino,
a cura di Isabella Camera d’Afflitto, pagg. 590, Euro 17,85
Titolo originale: Tawq al-hamàm
Iniziare la lettura di un libro che
proviene da un mondo e da una cultura diversi dai nostri è come arrivare in un
paese lontano che non condivide né la nostra storia né le nostre tradizioni.
Dobbiamo lavarci gli occhi e liberarci la mente prima di incominciare a leggere
o di addentrarci per le strade di una città che non ha alcun punto di
riferimento con le nostre. Correremmo altrimenti il rischio di una visione
offuscata dal contrapporsi di immagini di ciò a cui siamo abituati, dal
paragonare, con un metro inadeguato, delle pagine o delle opere d’arte con
delle altre che già conosciamo. Pronti, dunque, per la splendida avventura che
è il tuffarsi nel mondo arabo di Raja Alem?
La Mecca, città santa che ha dato i natali
a Maometto. Restringiamo il campo dell’obiettivo, un vicolo: “In questo libro
una sola cosa è certa, il luogo del ritrovamento del cadavere: lo stretto
vicolo chiamato Aburrùs, Vicolo delle Teste. Chi altri oserebbe scrivere di un
vicolo chiamato Aburrùs se non io stesso, Aburrùs in persona, con le mie tante
teste?”. Dovremo ricordarci spesso di questo inizio, ogni volta che pensiamo di
essere sicuri di qualcosa- ci ha avvisato Aburrùs, questa personificazione di
un vicolo con tante teste quanti sono i suoi abitanti, con tanti occhi che
vedono anche quello che non è lecito vedere, l’unico che può sapere che cosa si
nasconda nei giardini o dietro le porte da cui sbirciano le donne avvolte nelle
abaya nere. Aburrùs ha il ruolo del
narratore onnisciente, ma ha tante teste, non possiamo fidarci di lui.
Un cadavere di donna viene
ritrovato nel vicolo, sembra sia precipitato dall’alto. Chi è la donna? Questo
sarà il dilemma irrisolto fino alla fine del romanzo, perché,
contemporaneamente, scompare un’altra ragazza dal Vicolo delle Teste. Azza è
morta e Aisha è fuggita, o il contrario? Persino i nomi delle due ragazze hanno
qualcosa di simile. Erano amiche, Azza che faceva splendidi disegni e Aisha che
viveva di libri. Sono una il doppio dell’altra, una più giovane, l’altra con
una cicatrice riportata in un incidente in cui tutta la sua famiglia è morta? O
sono la stessa persona, le due facce della stessa ragazza, quella che nella
seconda parte ritroviamo a Madrid al seguito di uno sceicco che le ha dato un
nuovo nome, Nura?
C’è anche un poliziotto che
indaga, in questo romanzo che non è affatto un thriller, né vuole esserlo. Si
chiama Nasser, è un tipo solitario che finirà per essere ossessionato da Aisha,
leggerà e rileggerà le e-mail che Aisha ha scritto ad un tedesco conosciuto
nell’ospedale di Bonn in cui è stata curata (che svergognata), metterà sotto il
cuscino una manica dell’abito di nozze di Aisha. Ossessione: è la parola che
meglio si addice al tipo di rapporto uomo-donna del mondo musulmano che ci
descrive Raja Alem. E non potrebbe essere altrimenti, visto il mistero in cui è
avvolto l’universo femminile- un mistero rappresentato dall’abaya nera sotto
cui si celano i corpi delle donne. Si fantastica su una ciocca di capelli,
sullo scalpiccio dei piedi, su una scia di profumo.
Anche Yusuf, giornalista
scrittore, è ossessionato, non da Aisha ma da Azza, sua compagna di infanzia.
Parla di lei nel suo diario- un’altra delle diverse narrative del romanzo,
troppo complesso per una sola narrazione lineare. E, diametralmente opposto al
rapporto cupo che vivono queste donne e che molto spesso culmina in una
temibile notte di nozze, c’è “lo splendore del vivere”, il trionfo dell’amore
dei sensi che è un accumulo di vita come è descritto nelle pagine di “Donne
innamorate” di D.H.Lawrence che Aisha legge di nascosto e di cui riporta alcuni
brani nelle sue mail.
Da piccoli eravamo convinti che quei colombi vivessero soltanto nella casa di Dio e non si trovassero da nessun’altra parte sulla terra.
Le nostre nonne ci dicevano: “Portateli altrove e moriranno.” E poi ci mettevano in guardia: “Non fate loro del male.”
Ma più tardi, nei film di Hollywood, vidi che quei colombi dal collare si trovavano dappertutto. Quegli uccelli erano emigrati in tutti i luoghi della terra, abbandonando la casa di Dio?
C’è molto d’altro che Raja Alem vuole dirci in questo libro e la trama,
di misteri, nascondigli, travestimenti, inseguimenti, gliene offre la
possibilità. Scompare la chiave della sacra Kaaba e la ricerca ci porterà
lontano, tra Storia e leggende, storie di famiglie e storia di un popolo, ci
aprirà la porta di una libreria ricolma della cultura araba, ci porterà nel
palazzo del famoso fotografo che, con le foto da lui scattate in quasi cento
anni, testimonia il cambiamento della Mecca, da città santa dimora dello spirito
a città di casermoni, di merci dozzinali e di corruzione, ci condurrà a Gedda
dove i lavoratori clandestini si fanno arrestare per essere rimpatriati
gratuitamente, ci ricorderà l’assalto dei terroristi alla grande Moschea nel
1979 facendoci conoscere il boia della Mecca.
E’ un mondo a noi sconosciuto davanti al quale
proviamo quello che prova Nura in Spagna, quando si rende conto di non sapere
chi è Picasso mentre noi non abbiamo mai sentito parlare di Ibn Hazm che ha
scritto “Il collare della colomba”, un libro sull’amore come chiave che apre
tutto, che mette in comunicazione le tre grandi religioni. E Raja Alem,
straordinaria affabulatrice, è il Virgilio che ci guida in questo mondo,
stuzzicandoci, facendocelo assaporare e desiderare di leggere altro ancora.
Con questo romanzo Raja Alem è stata la
prima donna a vincere, nel 2011, l’Arabic Booker Prize. E, per la prima volta,
il premio è stato assegnato pure, a pari merito, allo scrittore marocchino
Mohammed Achaari, autore de “L’arco e la farfalla” (ed. Fazi).
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
la scrittrice Raja Alem e, a destra, con Mohammed Al Achaari
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