Voci da mondi diversi. Francia
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Dominique Manotti, “Vite
bruciate”
Ed.
Tropea, trad. Claudio Castellani, pagg. 283, Euro 16,60
Titolo
originale: Lorraine Connection
A Rolande gira la testa, l’impressione di
cadere in picchiata in un pozzo senza fondo.
“Non ci si crede a queste cose, non ci si
crede prima che ci succedano. La vita delle donne del popolo vale meno di
niente. Ci possono stuprare, maciullare o impiccare, tutti se ne fottono.”
Se
dovessimo fare il nome di un autore dalla cui scrittura è impossibile
riconoscere se si tratti di uno scrittore o di una scrittrice, citeremmo
immediatamente Dominique Manotti. Anzi, se vogliamo essere del tutto sinceri,
iniziando a leggere un suo libro a caso saremmo più propensi a pensare che sia
opera di uno scrittore uomo- per gli
argomenti trattati, per l’impegno civile e politico, per la volontà di
denuncia, per lo stile teso, nervoso, poco descrittivo, per nulla attratto dal
sentimentalismo.
I romanzi di Dominique Manotti sono
difficili da incasellare in un genere- sono dei reportage noir, perché, come un reportage giornalistico, partono
spesso da casi reali e, come nei
migliori articoli della migliore stampa giornalistica, contengono una forte
denuncia: pare chiaro che l’intento di Dominique Manotti sia quello di documentare il presente della società
francese, svelandone corruzione e traffici oscuri. E sono libri molto noir,
se il genere noir è quello che lascia il lettore nel buio della non speranza, a
differenza del ‘giallo’ in cui l’indagine poliziesca ristabilisce l’ordine sovvertito
dall’assassino, arrestando il colpevole. Ma è impossibile punire il colpevole,
o i colpevoli, nei casi trattati dalla Manotti- ricoprono ruoli troppo in alto,
sanno come coprirsi le spalle, sono intoccabili. E tutto procede come niente
fosse…
Il titolo originale del nuovo romanzo di
Dominique Manotti è “Lorraine connection”, collegandolo inequivocabilmente con
un comportamento di tipo mafioso, se interpretiamo la parola mafia con il
significato ampio che gli dà il Petrocchi, di “unione di
persone di ogni grado e di ogni specie che si danno aiuto nei reciprochi
interessi, senza rispetto né a leggi, né a morale”.
Perché è di questo che si tratta, anche se l’inizio ci parla di
‘morti bianche’ per incidenti sul lavoro: in una piccola fabbrica, una filiale
della Daewoo in Lorena, una giovane
incinta muore fulminata da una scarica elettrica. Un’amica, Rolande, pure
lei alla catena di montaggio, molla un ceffone al caporeparto che cerca di
minimizzare- viene licenziata immediatamente. Da questo momento il ritmo si fa serratissimo: inizia la
protesta, anche perché si diffonde la voce che i premi che gli operai aspettano
non verranno dati, sciopero, occupazione, sequestro dei dirigenti. Finché un
incendio distrugge uno dei capannoni e il capro espiatorio viene individuato ad
arte nel capo degli scioperanti. Nessuno sottolinea il fatto che il capannone incendiato è quello in cui si
trovavano i computer con la documentazione relativa alla fabbrica. E,
guarda caso, la persona che aveva detto di aver visto gli incendiari muore in
un ‘incidente’. E si dà pure il caso che siano i giorni risolutivi per
l’acquisto della molto ambita Thomson (che traffica in armi e in multimedia) da
parte del miglior offerente. Quale? Alcatel o Daewoo-Matra?
La cinepresa della
Manotti zooma dapprima sulle condizioni
lavorative della fabbrica dove molti sono gli operai stranieri (basta un
accenno, una riflessione sul come un arabo sia sempre un arabo davanti alla
polizia, e si capiscono tante cose), poi la visuale si sposta e si restringe:
da una parte dirigenti che giocano con
le sovvenzioni, con insider trading, con il ricatto, considerando lecita
ogni mossa- dalla fabbricazione di false prove all’eliminazione di vite umane,
così come si accopperebbe una mosca che dà fastidio; dall’altra i grossi condomini popolari, esistenze
fatte di sacrifici e, ancora, una certa solidarietà e senso di responsabilità.
Con qualche canna, qualche avventura di sesso. Ma i vizi dei ricchi sono ben
più ‘viziosi’…
I personaggi di Dominique Manotti non si impongono mai alla nostra memoria e non riusciamo mai ad affezionarci a loro, ma non è questo che la scrittrice vuole. Rolande (che è veramente un bel personaggio femminile), l’ex poliziotto Montoya, il consigliere Quignard e gli altri sono lì perché servono alla trama ed è alla trama che il lettore deve fare attenzione. All’implacabile denuncia sostenuta dalla tensione che è come quella di un thriller. Fino alla fine che, come già abbiamo detto, non è affatto consolatoria. Anzi, echeggiando il titolo del romanzo dello svedese Persson, ci pare di essere in caduta libera, senza appigli di valori che possano trattenerci dal precipitare nel buio.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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