martedì 8 dicembre 2015

Dominique Manotti, “Il bicchiere della staffa” ed. 2003

                                                          Voci da mondi diversi. Francia
        cento sfumature di giallo
         il libro ritrovato

Dominique Manotti, “Il bicchiere della staffa”
Ed. Tropea, trad. Francesco Bruno, pagg. 252, Euro 12,00


     Dopo “Il sentiero nell’ombra”, un altro ottimo giallo-noir della scrittrice francese Dominique Manotti. E sembra proprio che sia una caratteristica della Manotti, quella di scegliere un’ambientazione insolita per le sue trame: nel romanzo precedente era il quartiere parigino del Sentier e le lotte dei lavoratori; ne “Il bicchiere della staffa” sono gli ippodromi, le agenzie immobiliari e quelle assicurative, con un’apertura verso l’Eliseo e uno sguardo nell’ambiente corrotto della polizia. Il primo cadavere è quello di una spacciatrice che ha legami con la CIA e che viene trovato nelle toilettes  dell’ippodromo parigino di Longchamps, durante una corsa di cavalli. Seguono episodi in apparenza fortuiti, incendi dolosi di scuderie, cavalli morti, un’auto fatta saltare in aria con due uomini a bordo, traffici di droga dalla Colombia all’Italia attraverso la Francia. Al centro quattro amici dal tempo del liceo che hanno fatto insieme il ’68, si sono persi di vista e ritrovati nella Parigi degli anni ’80 di Mitterrand dove tutti sono riusciti a fare fortuna. Si dà per scontato che chi fa fortuna non la fa quasi mai in maniera del tutto pulita, magari sotto copertura. E, in un ambiente del genere, ci si possono concedere vizi particolari e sniffate di coca per tirarsi su. A volte seguiti da allucinazioni, o da furie omicide.
Ancora il commissario Daquin del X Arrondissement a guidare le indagini, sempre affascinante eppure umano con  i suoi gusti colti, la fedeltà all’amico di sempre che sta morendo, la preferenza costante e dichiarata verso il sesso maschile (c’è una certa stanchezza nel suo rapporto con l’attuale compagno tedesco Rudi che infatti torna in Germania) anche se occasionalmente si lascia tentare dalla seduzione femminile. Daquin ha la stoffa del capo, è intuitivo e deciso, non va molto per il sottile nei suoi metodi interrogatori, non si lascia intimidire dalle autorità che vorrebbero metterlo a tacere, ricattandolo con foto compromettenti quando vengono toccati dei pezzi grossi - no, non sono fotomontaggi, ma non era in servizio quando è stato fotografato, e quella è la sua vita privata. Ritroviamo ne “Il bicchiere della staffa” lo stile che ci è piaciuto nel romanzo precedente, una scrittura asciutta e ruvida senza concessioni a sentimentalismi, lo scivolare quasi inosservato da una narrazione in terza persona ad una sorta di monologo interiore in prima persona, pensieri brevi che non interrompono l’azione, una sequenza cinematografica di scene, un ritmo serrato e scandito dalle date che segnano il passare del tempo.
Le vicende iniziano nel giugno 1989 e terminano il 10 di novembre dello stesso anno: la radio trasmette la notizia della caduta del Muro di Berlino e il pensiero di Daquin corre a Rudi a cui non ha prestato abbastanza attenzione e all’amico morto che temeva il crollo del mondo comunista. E Parigi sullo sfondo, quella nuova della Défense e quella vecchia dei lungoSenna, Parigi da camminare sotto la pioggia fine e da ammirare nella luce dei tramonti.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net






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