Voci da mondi diversi. Francia
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Dominique Manotti, “Il
bicchiere della staffa”
Ed.
Tropea, trad. Francesco Bruno, pagg. 252, Euro 12,00
Dopo
“Il sentiero nell’ombra”, un altro ottimo giallo-noir della scrittrice francese
Dominique Manotti. E sembra proprio che sia una caratteristica della Manotti,
quella di scegliere un’ambientazione
insolita per le sue trame: nel romanzo precedente era il quartiere parigino
del Sentier e le lotte dei lavoratori; ne “Il bicchiere della staffa” sono gli ippodromi, le agenzie immobiliari e quelle assicurative, con un’apertura verso
l’Eliseo e uno sguardo nell’ambiente corrotto della polizia. Il primo cadavere
è quello di una spacciatrice che ha legami con la CIA e che viene trovato nelle
toilettes dell’ippodromo parigino di
Longchamps, durante una corsa di cavalli. Seguono episodi in apparenza fortuiti, incendi dolosi di scuderie, cavalli
morti, un’auto fatta saltare in aria con due uomini a bordo, traffici di droga
dalla Colombia all’Italia attraverso la Francia. Al centro quattro amici dal tempo del liceo che hanno fatto insieme il ’68,
si sono persi di vista e ritrovati nella Parigi degli anni ’80 di Mitterrand
dove tutti sono riusciti a fare fortuna. Si dà per scontato che chi fa fortuna non la fa quasi mai in
maniera del tutto pulita, magari sotto copertura. E, in un ambiente del
genere, ci si possono concedere vizi particolari e sniffate di coca per tirarsi
su. A volte seguiti da allucinazioni, o da furie omicide.
Ancora il commissario Daquin del X
Arrondissement a guidare le indagini, sempre affascinante eppure umano con i suoi gusti colti, la fedeltà all’amico di
sempre che sta morendo, la preferenza costante e dichiarata verso il sesso
maschile (c’è una certa stanchezza nel suo rapporto con l’attuale compagno
tedesco Rudi che infatti torna in Germania) anche se occasionalmente si lascia
tentare dalla seduzione femminile. Daquin ha la stoffa del capo, è intuitivo e deciso, non va molto per
il sottile nei suoi metodi interrogatori, non si lascia intimidire dalle
autorità che vorrebbero metterlo a tacere, ricattandolo con foto compromettenti
quando vengono toccati dei pezzi grossi - no, non sono fotomontaggi, ma non era
in servizio quando è stato fotografato, e quella
è la sua vita privata. Ritroviamo ne “Il bicchiere della staffa” lo stile
che ci è piaciuto nel romanzo precedente, una
scrittura asciutta e ruvida senza concessioni a sentimentalismi, lo
scivolare quasi inosservato da una narrazione in terza persona ad una sorta di
monologo interiore in prima persona, pensieri brevi che non interrompono
l’azione, una sequenza cinematografica
di scene, un ritmo serrato e
scandito dalle date che segnano il passare del tempo. Le vicende iniziano nel giugno 1989 e terminano il 10 di novembre dello stesso anno: la radio trasmette la notizia della caduta del Muro di Berlino e il pensiero di Daquin corre a Rudi a cui non ha prestato abbastanza attenzione e all’amico morto che temeva il crollo del mondo comunista. E Parigi sullo sfondo, quella nuova della Défense e quella vecchia dei lungoSenna, Parigi da camminare sotto la pioggia fine e da ammirare nella luce dei tramonti.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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