domenica 13 dicembre 2015

Dominique Manotti, “Vite bruciate” ed. 2009

                                                         Voci da mondi diversi. Francia
     cento sfumature di giallo
     il libro ritrovato


Dominique Manotti, “Vite bruciate”
Ed. Tropea, trad. Claudio Castellani, pagg. 283, Euro 16,60
Titolo originale: Lorraine Connection

   A Rolande gira la testa, l’impressione di cadere in picchiata in un pozzo senza fondo.
  “Non ci si crede a queste cose, non ci si crede prima che ci succedano. La vita delle donne del popolo vale meno di niente. Ci possono stuprare, maciullare o impiccare, tutti se ne fottono.”


     Se dovessimo fare il nome di un autore dalla cui scrittura è impossibile riconoscere se si tratti di uno scrittore o di una scrittrice, citeremmo immediatamente Dominique Manotti. Anzi, se vogliamo essere del tutto sinceri, iniziando a leggere un suo libro a caso saremmo più propensi a pensare che sia opera di uno scrittore uomo- per gli argomenti trattati, per l’impegno civile e politico, per la volontà di denuncia, per lo stile teso, nervoso, poco descrittivo, per nulla attratto dal sentimentalismo.
    I romanzi di Dominique Manotti sono difficili da incasellare in un genere- sono dei reportage noir, perché, come un reportage giornalistico, partono spesso da casi reali e, come nei migliori articoli della migliore stampa giornalistica, contengono una forte denuncia: pare chiaro che l’intento di Dominique Manotti sia quello di documentare il presente della società francese, svelandone corruzione e traffici oscuri. E sono libri molto noir, se il genere noir è quello che lascia il lettore nel buio della non speranza, a differenza del ‘giallo’ in cui l’indagine poliziesca ristabilisce l’ordine sovvertito dall’assassino, arrestando il colpevole. Ma è impossibile punire il colpevole, o i colpevoli, nei casi trattati dalla Manotti- ricoprono ruoli troppo in alto, sanno come coprirsi le spalle, sono intoccabili. E tutto procede come niente fosse…
    Il titolo originale del nuovo romanzo di Dominique Manotti è “Lorraine connection”, collegandolo inequivocabilmente con un comportamento di tipo mafioso, se interpretiamo la parola mafia con il significato ampio che gli dà il Petrocchi, di “unione di persone di ogni grado e di ogni specie che si danno aiuto nei reciprochi interessi, senza rispetto né a leggi, né a morale”.
Perché è di questo che si tratta, anche se l’inizio ci parla di ‘morti bianche’ per incidenti sul lavoro: in una piccola fabbrica, una filiale della Daewoo in Lorena, una giovane incinta muore fulminata da una scarica elettrica. Un’amica, Rolande, pure lei alla catena di montaggio, molla un ceffone al caporeparto che cerca di minimizzare- viene licenziata immediatamente. Da questo momento il ritmo si fa serratissimo: inizia la protesta, anche perché si diffonde la voce che i premi che gli operai aspettano non verranno dati, sciopero, occupazione, sequestro dei dirigenti. Finché un incendio distrugge uno dei capannoni e il capro espiatorio viene individuato ad arte nel capo degli scioperanti. Nessuno sottolinea il fatto che il capannone incendiato è quello in cui si trovavano i computer con la documentazione relativa alla fabbrica. E, guarda caso, la persona che aveva detto di aver visto gli incendiari muore in un ‘incidente’. E si dà pure il caso che siano i giorni risolutivi per l’acquisto della molto ambita Thomson (che traffica in armi e in multimedia) da parte del miglior offerente. Quale? Alcatel o Daewoo-Matra?

    La cinepresa della Manotti zooma dapprima sulle condizioni lavorative della fabbrica dove molti sono gli operai stranieri (basta un accenno, una riflessione sul come un arabo sia sempre un arabo davanti alla polizia, e si capiscono tante cose), poi la visuale si sposta e si restringe: da una parte dirigenti che giocano con le sovvenzioni, con insider trading, con il ricatto, considerando lecita ogni mossa- dalla fabbricazione di false prove all’eliminazione di vite umane, così come si accopperebbe una mosca che dà fastidio; dall’altra i grossi condomini popolari, esistenze fatte di sacrifici e, ancora, una certa solidarietà e senso di responsabilità. Con qualche canna, qualche avventura di sesso. Ma i vizi dei ricchi sono ben più ‘viziosi’…

     I personaggi di Dominique Manotti non si impongono mai  alla nostra memoria e non riusciamo mai ad affezionarci a loro, ma non è questo che la scrittrice vuole. Rolande (che è veramente un bel personaggio femminile), l’ex poliziotto Montoya, il consigliere Quignard e gli altri sono lì perché servono alla trama ed è alla trama che il lettore deve fare attenzione. All’implacabile denuncia sostenuta dalla tensione che è come quella di un thriller. Fino alla fine che, come già abbiamo detto, non è affatto consolatoria. Anzi, echeggiando il titolo del romanzo dello svedese Persson, ci pare di essere in caduta libera, senza appigli di valori che possano trattenerci dal precipitare nel buio.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it 





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